Il mercato estero e la distribuzione del reddito contro i conti del Governo

Di economia si fa un gran parlare. Ma la ricetta per far ripartire l’Italia pare non sia stata ancora inventata. Non è solo questione di fantasia, anche se l’innovazione, da che storia è storia, si è rivelata una carta vincente. Ciò che serve oggi è forse un mix tra buon senso e competenza. Una crescita minima, stando ai dati Istat, nel 2015 c’è stata. Ma siamo sicuri sia solo merito dell’Italia?
Ad ascoltare le parole di Draghi senza le misure della BCE “il 2015 si sarebbe chiuso in deflazione”. La Banca Centrale ha fatto tutto ciò che era in suo potere per agevolare l’economia, anche e soprattutto italiana, tirando la corda dei suoi limiti statuari ed esaurendo, dopo il Quantitative Easing, quasi del tutto i margini di manovra.
Occorre un politica espansiva di rilancio degli investimenti, a partire da quelli pubblici e dei consumi. Ieri il Consiglio dei Ministri ha approvato il DEF, il Documento di Economia e Finanza previsto dalla Legge 39/2011.
“La crescita accelera, in buona parte trainata dall’effetto delle misure del governo e si accompagna al miglioramento continuo delle finanze pubbliche sia in termini di deficit che di debito", ha affermato orgoglioso il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, presentando alla stampa la sua creatura.
Ma analizziamo nel dettaglio i punti salienti del Documento.
Il Pil nel 2016 crescerà dell’1,2%, un dato sicuramente migliore dello 0,8% del 2015, ma comunque inferiore di 0,4 punti percentuali rispetto alle stime presentate nella Nota Integrativa dello scorso settembre. “Cresciamo del 50% in più rispetto al 2015”, ha evidenziato il Ministro, prevedendo di guadagnare ulteriori 0,2 punti nel 2017, fino a raggiungere l’1,5% nel 2018. "Il fatto che ci sia una revisione all’1,2% è un fatto di serietà. L’Italia cresce, questi sono i numeri. Ce li avevamo anche a colori ma non volevamo stupirvi” afferma il premier Matteo Renzi, illustrando le slides in bianco e nero. Il Pil nominale (quello che tiene conto dell’inflazione) viene previsto al 2,2% nel 2016 per poi salire fino al 3,1% nel 2017 e al 3,2% nel 2018. Il deficit dal 2,6% del 2015 si attesta al 2,3% per scendere di ulteriori 0,5 punti percentuali nel 2017. Il rapporto deficit/Pil calerà allo 0,9% nel 2018.
“Siamo tranquilli che l’1,8% (deficit) sia assolutamente compatibile con il quadro europeo” dice Padoan, lasciando intendere che tale obiettivo sarà raggiunto avvalendosi della flessibilità europea. "L’’Italia ha più flessibilità perché è più in regola di altri, per le riforme messe in campo e per gli investimenti. I paesi nel braccio correttivo, come la Francia, non possono usare flessibilità perché le loro finanze non sono in regola come le nostra”. La flessibilità ha il valore di 11 miliardi di euro, che vanno sommati ai 16 dello scorso anno. Fonti di palazzo Chigi hanno assicurato che Bruxelles, grazie al “forcing” del convincente Matteo, li abbia già accordati.Un raggio di sole per il Governo, rabbuiato dalle oscure vicende che nell’ultimo periodo hanno pesato – sondaggi alla mano – sulla credibilità del premier.
Il debito pubblico, rispetto alle stime di settembre, cala meno, attestandosi per l’anno in corso al 132,4%, per diminuire nel 2017 di 1,5 punti percentuali e raggiungere nel 2019 il 123,8%. Anche la pressione fiscale scenderà di 0,7 punti percentuali, affermandosi, per effetto del bonus di 80 euro sul reddito netto dei lavoratori, al 42,2%. È quanto si legge nel comunicato redatto dal Consiglio dei Ministri. L’inflazione è stimata all’1,3% per il 2017 e all’1,6% per il 2018. Il tasso di disoccupazione scenderà per l’anno in corso all’1,4% per attestarsi sotto il 10% nel 2019.
“La crescita è trainata dalle riforme del governo. Questa crescita si accompagna da un continuo miglioramento delle finanze. Il quadro internazionale è peggiorato, l’inflazione scende e la crescita nominale è un impedimento a un abbattimento del debito più veloce. Ciononostante la crescita c’è: trainata dai consumi delle famiglie che continuano ad aumentare e dagli investimenti che mostrano un’accelerazione”, precisa Padoan, aprendo la strada al prosieguo delle riforme strutturali e alla spending review, che si prefigge di ridurre in quest’anno la spesa dei ministeri di 2,7 miliardi.
Avanti con la riduzione delle tasse (nel 2017 sarà tagliata l’Ires e nel 2018 l’Irpef), le liberalizzazioni e la legge sul conflitto di interessi, ma soprattutto avanti con la privatizzazione e la vendita di immobili pubblici. Negli intenti di Palazzo Chigi figurano la cessione dell’Eni per il 49%, di quote di Ferrovie dello Stato e “altre operazioni” che potrebbero riferirsi alla vendita di un’ulteriore parte di Poste Italiane. Via libera anche al decreto “Finanza per la crescita”, incentrato sullo stimolo agli investimenti con l’esenzione totale dal capital gain per chi acquista bond emessi da piccole e medie imprese. Il programma determinerà, secondo il Ministro, un impatto sul PIL pari allo 0,2% nel 2020. Nessun riferimento alla riforma delle pensioni e agli auspicati 80 euro in più per i pensionati al minimo. Via libera ancora al pubblico investimento e alla riduzione del carico fiscale che scende al 42,8% del Pil. Anche la spesa per gli interessi sul debito continua a diminuire: dal 4,2% del 2015 al 3,8% nel 2017, passando per il 4% nel 2016. Ciò potrebbe portare alla creazione un tesoretto da investire in legge di stabilità.
Quella fotografata dal DEF è un’Italia che cresce e riduce il suo debito, ma lo fa troppo lentamente. Se è vero che in economia non sopravvive il più forte, ma quello capace di adattarsi, ci si chiede se e in che misura si preveda l’incentivazione reale di azioni di trasformazione, riconfigurazione o riallocazione di capitali a sostegno dell’impresa. Il processo di accumulazione continua di ricchezza, caposaldo del capitalismo, ha esaurito la sua spinta propulsiva con la conseguente stagnazione di mercato. In questo contesto la crescita bassissima del +1,2%, in un’Europa che versa in condizioni altrettanto difficili, sembra attribuibile, in larga parte, all’intervento di Draghi.Senza di esso il disequilibrio derivante dal surplus produttivo sulla domanda effettiva, avrebbe condotto, probabilmente, a una crescita pari a zero.
Gli interventi del Governo descritti nel DEF si dirigono verso misure volte all’incentivazione, ma la liquidità innestata nella società appare ancora insufficiente. L’80% degli investimenti è a debito e in un’ economia ferma si stenta a restituire il capitale ricevuto dagli istituti di intermediazione finanziaria. Motivo per cui la BCE ha fatto in modo che i tassi d’interesse si abbassassero a livelli mai visti. In questa situazione di mercato i prezzi scendono al punto di non sostenibilità, il fatturato cala e con esso il lavoro.
Il miracolo della Terza Rivoluzione Industriale non si è compiuto e nessun settore sembra essere riuscito a controbilanciare, nel valore e nell’occupazione, il manifatturiero. La realtà produttiva italiana è fatta di piccole e medie imprese che incidono del 90% rispetto al 10% della grande industria. Per sopravvivere devono aggregarsi e talvolta persino riconvertirsi, indirizzandosi verso un settore ad alto contenuto di ricerca e innovazione tecnologica. I più gettonati? Informatica, comunicazione, biotecnologie mediche e ambientali, intelligence finanziaria e militare. Nel manuale di sopravvivenza dell’imprenditore italiano moderno non può mancare l’export che deve necessariamente interessare più della metà della produzione, avvalendosi anche dell’e-commerce. Lo stato dell’Europa è tale che una crescita effettiva potrebbe venire solo dall’apertura di mercati nei paesi arretrati rispetto all’Occidente nei quali lo sviluppo contribuirebbe alla creazione di lavoro. Insomma, per quanto si apprezzino gli sforzi di Governo, per rimettere in moto l’economia ci vogliono più soldi.
E questa è stata da sempre l’idea di Paolo Becchi, ex ideologo del Movimento 5 Stelle. Distribuire a intervallo di tempo regolare reddito di cittadinanza, cumulabile con altri redditi (da lavoro, da impresa, da rendita), aumenterebbe la propensione al consumo, determinando, a breve-medio termine, l’avvicinamento del valore della domanda a quello dell’offerta. L’uscita di Becchi non ha fatto cambiare idea al Movimento 5 Stelle che, forte dell’esperienza positiva registrata a Utrecht dai cittadini olandesi, ha mantenuto il reddito di cittadinanza al primo posto del suo programma.
Da sempre ostile il premier Matteo Renzi, mentre gli economisti si dividono tra favorevoli e contrari. Sarebbe interessante, andando oltre gli slogan elettorali, approntare un serio progetto di fattibilità, volto all’individuazione del capitale da investire nella distribuzione.Perché, nella bella Italia, si sa, si è abituati a dar retta al vecchio adagio che ammonisce a non lasciar mai la via vecchia per la nuova, ma ora che in ballo sono tirati soldi e futuro, forse al cambiamento più di qualcuno comincerà a pensare.
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