IL REFERENDUM TRA SI, NO E RESA DEI CONTI
“Referendum sul futuro del Paese” dice il premier. Ma in molti voteranno per la Renxit. Sempre più voci in casa PD a sostegno del NO.

Il referendum "è sul futuro del paese e non sul mio".È il mantra che va ripetendo da giorni Matteo Renzi. L’ha detto anche a Radio Anch’io, lasciando intendere che se dovesse perdere non cambierà mestiere. Del resto in pochi avevano creduto a quelle parole birichine dei tempi meno sospetti che risuonavano più come un esorcismo che un proposito.Alla ribalta delle cronache piddine le vicende di due personaggi che sotto lo stendardo del NO si sono ritrovati: Massimo D’Alema e Ignazio Marino.
Entrambi agguerriti.
“D’Alema - ha detto il premier - usa il referendum per rientrare in partita, vota no convinto di poter rappresentare il futuro”. Il governo - ha assicurato - sta facendo cose che “sono state rinviate per 20-30 anni”.“Non è un derby tra Renzi e il resto del mondo, ma dell’Italiacontro la vecchia guardia”.Luigi Zanda, in un’intervista al "Corriere della Sera" di qualche giorno fa si è detto convinto che vincerà il SI: "Credo che avremo una sorpresa forte. Giro molto e prevedo un’affluenza importante, un risultato netto a favore del SI e una legislatura che finirà nel 2018".L’articolo richiama al Partito della Nazione, epiteto col quale il senatore intende designare “il popolo che si oppone ai partiti anti-sistema”.Se è vero che le consultazioni referendarie superano spesso l’ideologia, pescando dinieghi e consensi a destra e a manca, è innegabile che si stia cristallizzando il progetto di un novellato vecchio centro, che qualcuno credeva ormai abbandonato in un cassetto.Così non si parla di conservatorismo contro progressismo - per non dire destra contro sinistra - ma di anti-sistema contro sistema.È una fase di transizione questa. In cui l’unico dato certo è che dalla parte dell’”anti” sta la maggior parte della gente.
Come dice, ironizzando, Crozza “il Paese è diviso tra chi voterà SI e chi invece ha capito la Riforma costituzionale“.E aggiungo: anche chi non ha dedicato troppo tempo a studiarla voterà NO. Siamo nel momento del dissenso. E in questo frangente il popolo è contro il sistema.Non perde occasione di manifestarlo. Non c’è visita istituzionale del premier che non sia accolta dalla protesta.Il prossimo futuro delineerà i tratti salienti del nuovo scenario politico, chiarendo parti e posizioni. Perché senza gli opposti non può esistere equilibrio.
“Non ho dubbi, vincerà il NO. Leggete il Financial Times – ha tuonato nei giorni scorsi Beppe Grillo - Assolutamente non ho dubbi: vedrete che vincerà il NO perché siamo in mano a dei bluffisti, dei giocatori d’azzardo […]. Lo avevo sempre detto, conoscendo quelle persone lì. Il NO è la forma più bella di politica. Pensate, a casa nostra non guardiamo Politics o il tg1. È bellissimo dire no, è fantastico saperlo dire...".In favore della Riforma si è espresso invece Roberto Benigni che, intervistato dalle Iene la scorsa settimana ha, detto: “E’ indispensabile che vinca il SI. Ma ti immagini il giorno dopo che vince il NO? Il morale? Peggio della Brexit”.Che la Brexit non sia stato un evento negativo, lo dicono gli inglesi e soprattutto i dati che parlano di economia rifiorita e di gente più contenta.“Già i costituenti hanno detto di riformare la Costituzione. Lo hanno auspicato loro stessi, la seconda parte. Poi c’è la maniera di migliorarla, ma se non si parte non accadrà mai più - ha aggiunto l’ex comico, spiegando ancora che - certamente alcune cose sono da rivedere, però è una cosa per senso di responsabilità. Possiamo stare sereni se vince il SI, bisogna pensare al bene degli italiani".Chi sostiene la Riforma, si dice convinto del suo carattere pratico e innovativo. Troppi parlamentari, sovrapposizioni e lungaggini. Qualora passasse il SI e il bicameralismo perfetto fosse superato, la funzione del Senato della Repubblica sarebbe ridotta alla mera rappresentanza delle istituzioni territoriali. Concorrerebbe all’attività legislativa solo in determinate materie. Il numero degli esponenti sarebbe ridimensionato da 315 a 100. Da un lato i nominati dal Presidente della Repubblica, dall’altro alcuni fra i componenti dei Consigli regionali e i sindaci. La Camera dei deputati rimarrebbe quindi l’unico organo ad esercitare la funzione di indirizzo politico e di controllo sull’operato del Governo, verso il quale resterebbe titolare del rapporto di fiducia. Sarebbero abolite le province e il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL). Sarebbe soppresso l’elenco delle materie di legislazione concorrente fra Stato e Regioni e previste modifiche in tema di referendum popolari, procedimento legislativo, uso della decretazione d’urgenza, elezione del Presidente della Repubblica e nomina dei giudici della Corte costituzionale.In base al disposto dell’art. 138 cost, la riforma, non essendo stata approvata da almeno i due terzi dei membri di ciascuna camera, non è stata direttamente promulgata. Ci si è avvalsi della facoltà, già sfruttata, di richiedere un referendum per sottoporla al giudizio popolare.
A differenza di quelli abrogativi, i referendum costituzionali per esseri validi, non necessitano del raggiungimento di un quorum. Vincerà l’opzione prevalente.
Renzi e Boschi ci hanno detto che in caso di SI aumenterebbero gli strumenti per l’esercizio della democrazia diretta.La riforma introduce il referendum propositivo e modifica il meccanismo del quorum di validità per quello abrogativo.Il premio di maggioranza alla lista - anziché alla coalizione - proprio della nuova legge elettorale, eviterebbe la formazione di raggruppamenti eterogenei che poco si conciliano con l’esercizio di un governo efficiente. Verrebbe inoltre limitato il ricorso ai decreti legge.Materie strategiche, quali il trasporto e l’energia, dalle Regioni, tornerebbero alla competenza legislativa dello Stato.
“Nessun rischio di deriva autoritaria - ha specificato il presidente del Consiglio – in caso di vittoria del SI”.Ma – ci chiediamo un po’ tutti – se l’idea era quella di superare il bicameralismo, abbattendo davvero i costi, perché non abolire del tutto il Senato?Così continueremmo ad avere due Camere che, su diverse materie, legifererebbero comunque insieme. Se è vero che il Senato non voterebbe più la fiducia, è altrettanto vero che dovrebbe essere consultato su temi vitali per i governi. Sulla legge di bilancio ad esempio. Il procedimento legislativo di cui all’articolo 70, che oggi ha 4 variabili, ne prevedrebbe 8-10.Non solo: la riduzione del costo sarebbe di appena 1/5. Lo Stato risparmierebbe 50 milioni di euro per ogni esercizio annuale del Senato. Il prezzo di un F35 per capirci.
E davvero si inciderebbe sulle lungaggini?
Alle attuali condizioni, la modifica costituzionale dell’articolo 81 sul pareggio di bilancio è stata fatta in poco più di tre mesi.La richiesta di referendum abrogativo, per essere accolta, richiederebbe 800mila firme. Non più 500mila. Quella di legge d’iniziativa popolare 150 mila anziché 50mila. Altro che democrazia partecipativa!A “data certa” sarebbero approvati i soli disegni di legge governativi. Non le leggi di iniziativa parlamentare. Un sistema squilibrato che - dicono i sostenitori del N-di fatto monopolizzerebbe l’attività legislativa del Parlamento.È innegabile che attui un centralismo a scapito del decentramento.Qualcuno direbbe che solo un governo più snello e forte può assumere decisioni strategiche.Certo. Ma, fino a prova contraria siamo in democrazia. E viene naturale chiedersi quanto la riforma la tuteli.La Costituzione non è intoccabile. Chi scrive è fondamentalmente innovatrice. Ma modificarne 47 articoli, in un colpo solo, è azzardato.
Queste sono le “cose da rivedere” alle quali probabilmente si riferisce Benigni.E allora caro Roberto, nel nome dell’italianità, di quella meravigliosa fratellanza nazionale che ci unisce, val la pena di mettere le mani sulla Carta “più bella del mondo”, per usar parole tue? E soprattutto mettercele, non per migliorare la condizione del Paese, bensì per incentivare – come dicono i detrattori – il servilismo di Roma nei confronti di Bruxelles? A votare andranno in molti. Ma non tutti si esprimeranno sul “futuro delle istituzioni nei prossimi decenni”. Checché se ne dica. Ma sulla “Renxit".La Riforma non può prescindere dalla sua funzione di regolatrice di conti, quale epilogo di una fase politica. Indipendentemente dalle sorti del Governo.
E sulla previsione di voto si riversa tutta l’ansia dell’esecutivo, criticato anche dal Financial Times che, per penna di Tony Barber, ha scritto, riferendosi alle riforme: “faranno poco per migliorare la qualità del governo, della legislazione e della politica - perché - quello di cui l’Italia ha bisogno non sono più leggi da approvare più rapidamente, ma meno leggi e migliori’’.Chissà cos’è che ha fatto cambiare opinione a Barber...A luglio temeva che il NO avrebbe potuto mettere a repentaglio la solidità dell’Europa, al pari della potenziale vittoria dell’estrema destra in Austria, Olanda e Francia. Certo, consegnare l’Italia “nelle mani di un movimento - parole sue - idiosincratico, del tutto inesperto” a questo potrebbe portare.Ma il popolo, di questa Europa, non ne può davvero più.Il Financial Times sembra averlo capito.E poi – perché a far girare il mondo è l’economia – quali sarebbero i vantaggi nel tenere in piedi questa grossa organizzazione “dodecastellata”?Forse tutti iniziano a chiederselo.E anche questo il Financial Times sembra averlo compreso.
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