RADIO MARIA SOSPENDE PADRE CAVALCOLI

Terremoto: castigo divino per le unioni civili. Le parole inaccettabili di padre Cavalcoli

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Sua emittenza vaticana, Radio Maria, si scusa, in primis con le persone che sono state colpite dal terremoto, ma anche con chiunque si sia sentito offeso dalle parole di padre Cavalcoli, il sacerdote che durante una trasmissione radiofonica vide nel terremoto il segno di un castigo divino per le unioni civile. Una posizione ribadita dal sacerdote anche durante un’intervista alla trasmissione “La zanzara”, su Radio 24. Anzi, nel corso dell’intervista don Cavalcoli ha puntualizzato la mancanza di conoscenza delle sacre scritture da parte degli altri addetti ai lavori, vantando i suoi studi in teologia, ribadendo inoltre che i terremoti sono punizioni per i peccati dell’uomo.

cms_4860/foto_2.jpgOvviamente il Vaticano ed i responsabili di Radio Maria hanno ritenuto inaccettabili le parole del sacerdote, sospendendo immediatamente la sua trasmissione mensile, ricordando che le affermazioni di don Cavalcoli non sono in linea con l’annuncio della misericordia, essenza del cristianesimo e dell’azione pastorale di Papa Francesco, e che senza ombra di dubbio non vanno attribuite al direttore dell’emittente, padre Livio Faraga. Il sostituto della Segreteria di Stato vaticana, monsignor Angelo Becciu ha espresso indignazione, definendo le affermazioni offensive per i credenti e scandalose per chi non crede, datate al periodo pre cristiano e non assolutamente rispondenti alla teologia della chiesa, di cui don Cavalcoli si ritiene esperto, ma che offrono il volto di un Dio capriccioso e vendicativo. Una visione pagana dunque invece che cattolica, e sempre monsignor Becciu ha aggiunto che evocare queste immagini dai microfoni di Radio Maria offende il nome della Madonna stessa. Don Cavalcoli invece, sempre nel corso della trasmissione ha evocato anche Sodoma e Gomorra, ripercorrendo un fondamentalismo religioso che sembra ancor più umiliante per le popolazioni colpite. Sodoma e Gomorra furono punite per la condotta dissoluta delle genti.
C’è chi, come monsignor Antonio Napolioni, vescovo di Cremona, ha saputo veicolare il proprio sdegno attraverso Facebook: in un post pubblico, titolato “non nominare il nome di Dio invano” ha invitato a rispettare la fede e la pazienza dei cristiani del Centro Italia e delle altre vittime di calamità e violenze, non ferendole con parole sventurate che spesso sono più dolorose delle pietre. Anche un docente della Pontificia Università Gregoriana, don Rocco D’Ambrosio, si è detto indignato da frasi che rappresentano una degenerazione della fede cristiana a magia e superstizione. Dal canto suo la senatrice Monica Cirinnà, prima firmataria della legge sulle unioni civili, ai microfoni della trasmissione “un giorno da pecora”, ha auspicato l’intervento dell’Ordine dei Giornalisti.

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Effettivamente non si potrebbe immaginare un insulto maggiore indirizzato verso chi ha perso tutto a causa del sisma, e con tutto si intendono non solo beni materiali, ma anche affetti, ricordi, amicizie, conservando solo la fede. Ma se proprio chi dovrebbe dare speranza e portare un messaggio che ci ricordi che siamo tutti fratelli lancia i suoi strali, allora a chi si deve rivolgere chi in qualche modo non vuole sentirsi disperso ma anzi unito nel dolore? Fortunatamente questa vicenda si limita ad una visione assolutamente non condivisa dal Vaticano. Ma rattrista sapere che ancora c’è chi vede nei fenomeni naturali il segno della rabbia divina. Perché la vera carità è proprio questa, dare conforto, fisico o spirituale che sia, a chi soffre, andando oltre le proprie convinzioni e le proprie credenze, oltre ciò che si ritiene giusto, perché le ferite spirituali si curano con l’attenzione e con l’amore verso il prossimo.

Paolo Varese

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