Il significato del Bestiario di Arreola
Un testo brevissimo e singolare tradotto in italiano soltanto due anni fa.

Il Bestiario di Arreola fu terminato dal suo autore nel dicembre del 1958. Il brevissimo testo (cinquanta pagine) è stato definito un capolavoro della prosa messicana e spagnola. Curioso, per un libro che non è stato scritto da quello che è, a tutti gli effetti, il suo autore. Alle edizioni del SUR va il merito di aver pubblicato il Bestiario nel 2015, nella traduzione di Stefano Tedeschi e con la postfazione di un altro scrittore messicano, José Emilio Pacheco, che ha avuto un ruolo indispensabile alla stesura del testo originale.
Juan José Arreola, massimo scrittore sperimentale messicano, moriva quindici anni fa, il 3 dicembre 2001. Pubblicò nella sua vita alcune raccolte di racconti e un solo romanzo, “La feria”, nel 1963. Arreola non è molto famoso al di fuori del suo paese, ma la sua influenza sugli scrittori messicani del Novecento è vasta, in quanto fu trai primi autori latinoamericani ad abbandonare il realismo per avvicinarsi al fantastico e al realismo magico. Insieme a Borges è ricordato come uno dei maestri del sotto-genere del saggio di finzione.
Il bestiario è un genere letterario medievale, pur essendo stato adottato anche da autori moderni. La sua funzione, quando si diffuse nell’Europa dei secoli XIII e XIV, era didattica: alla descrizione degli animali - reali, ma spesso anche fantastici - seguiva un commento morale. L’idea di fondo era che il pianeta fosse l’immagine della parola di Dio, dove ogni essere vivente aveva un significato preciso e unico.
Come si è accennato, Arreola non scrisse quest’opera. José Emilio Pacheco racconta nella postfazione che l’autore gliela dettò dal suo letto nel corso di una settimana. Egli era infatti in un periodo di blocco e Pacheco, in segno di amicizia e gratitudine per gli aiuti ricevuti in passato, trascrisse il minuscolo bestiario che Arreola aveva in mente, pur non essendo nella capacità di scriverlo.I ritratti che compongono il libro sono microscopici, brevi a volte come metà pagina. Ogni animale è l’immagine, splendidamente descritta, di un difetto o di uno stato d’animo dell’uomo. Il rospo - cuore gettato nel fango - ci guarda dallo specchio e ci parla della sua incapacità di cambiare. La zebra indomabile nel trascinare sulla schiena la sua enorme impronta digitale, è l’orgoglio di essere ciò che si è.
Le descrizioni sono un trionfo di fantasia. Lo struzzo è “senza dubbio il miglior esempio di gonna corta e scollatura profonda”. Le foche sono lingotti di gomma che si applaudono da sole con ovazioni vischiose in una piscina che sembra di gelatina. Le mandrie di bisonti avanzano come “una tempesta raso terra, con quell’aspetto da nuvoloni”. I cigni “attraversano lo stagno con la volgarità sfarzosa delle frasi fatte”. E i cervi, “al di fuori dello spazio e del tempo, incedono con veloce lentezza e nessuno sa dove si trovino meglio, se nell’immobilità o nel movimento, che sanno fondere in modo tale da vederci costretti a situarli nell’eternità… Fatti apposta per risolvere l’antico paradosso, sono allo stesso tempo Achille e la tartaruga, l’arco e la freccia: corrono senza raggiungersi; si fermano e qualcosa continua a galoppare oltre la loro presenza”.
Il racconto orale lascia libertà all’immaginazione dell’autore. Le immagini sono degne di un sogno e per questo i micro-racconti del Bestiario di Arreola sono perfetti come favole della buonanotte per i bambini.
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