IL CAFFE’ PEDAGOGICO

Pensiero laterale. Riflessioni sul due novembre

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“Ogni anno il due novembre …”, recita l’incipit della celeberrima “Livella” di Totò, “c’è l’usanza…”

Partiamo dal presupposto che la consuetudine, l’abitudine, l’usanza – sempre per dirla alla Totò - ci rassicurano essendo qualcosa che ritroviamo nel tempo, così come quei gesti che scandiscono la nostra esistenza e ci danno sicurezza.Recarsi al cimitero dai propri cari è un modo per sentirli accanto; far visita alle spoglie mortali vuol dire, in realtà, comunicare più da vicino con lo spirito del defunto.La fede, si sa, è un dono, e credere nell’aldilà fortifica; immaginare una “vita dopo la vita” rende più accettabile la morte.

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In una bella intervista concessa a Radio Vaticana, il premio Nobel Dario Fo risponde così al giornalista che gli chiede del suo rapporto sull’aldilà:

«Penso che un giorno potrò rivedere Franca (Rame, sua moglie, ndr), ogni tanto la sento, sento la sua presenza, sento che mi aiuta, sento che si preoccupa per me. Se credo nell’aldilà? Non so come chiamarlo, perché rimango sempre ateo e non so se sia un bene o una mancanza. Se vuole può definirmi “un ateo che cerca”».

Per quel che mi riguarda, se dovessi immaginarmi l’aldilà, vorrei che fosse così: mi piace pensarlo popolato dalle persone che ho amato, mio padre tra queste, proprio come le ricordo, anzi migliori, poiché il tempo ne sbiadisce la memoria. Vorrei che avessero solo pregi, o meglio vorrei che fossero quello che di positivo sono stati in vita e che trascorressero l’eternità senza mai annoiarsi o perdersi in sciocche discussioni sul denaro, la politica o la guerra.

Immagino teatri stellari, stadi galleggianti sulle nuvole e immensi viali dove passeggiare e dialogare di filosofia, letteratura e poesia.

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Voci e note musicali si diffondono nell’aria; a ben sentire, si distinguono le chitarre di Fabrizio De André, di Ivan Graziani e di Pino Daniele: un mega concerto per milioni di presenze.

Più in là c’è lui, Dario Fo, con Franca Rame finalmente ritrovata, circondato, come era sua consuetudine fare nel mondo limitato dei viventi, dal pubblico seduto ai bordi del palcoscenico di cui lassù non si percepiscono i confini: mi sembra di riconoscere il Grammelot, capisco che è in scena Mistero Buffo.

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In fondo a uno degli ampi viali immagino due ombre apparentemente indistinte, un uomo e una donna; a ben vedere, sono Gabriel García Marquez e Alda Merini (nell’aldilà si parla una lingua universale) e mi chiedo cosa avranno mai da dirsi. Poi penso che la risposta sia ovvia: la cultura non ha limiti spaziali né temporali, il romanzo e la poesia sono stretti parenti; concludo, inoltre, che a quei due certo non manchino argomenti per conversare.

Di smart nell’aldilà ci sono solo le “anime”: niente telefoni, pc o tv. Vige la “strana” usanza di parlare guardandosi negli occhi e di ascoltare l’altro, e a teatro non si corre il rischio di interrompere la rappresentazione per via della suoneria di un cellulare sbadatamente dimenticato acceso.

Immagino infine Dio, Allah e le divinità venerate in tutte le religioni, conversare amabilmente chiedendosi come mai gli uomini chiamino loro in causa per giustificare le guerre, che di religioso hanno ben poco. Mi sembra anche di vederli sorridere al pensiero di quello che quaggiù hanno fatto di aberrante, nascondendosi dietro le dottrine del cristianesimo, dell’islamismo ecc.

C’è molta più vita nel mio aldilà ideale e, a dire il vero, penso sia molto meglio dell’al di qua. Probabilmente non è somigliante alla descrizione a cui ci hanno abituati, ma se fosse così come lo immagino, se fosse tutto vero, di sicuro morire non sarebbe poi così inaccettabile, anche per noi agnostici.

Lucia D’Amore

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