Il caffè pedagogico
I “ragazzi del ’99”

Sono nati all’alba del 21° secolo, i diciottenni che a Marzo voteranno per la prima volta. Il “battesimo delle urne” sarà per loro un importante appuntamento nel quale esprimeranno la propria preferenza per questa o per quella formazione politica, per l’uno o per l’altro candidato, sempre se sapranno districarsi nel ginepraio della incalzante campagna elettorale.
I “ragazzi del ’99” nell’immaginario collettivo sono coloro i quali, diventati maggiorenni nel corso della Grande Guerra, furono chiamati a combattere per difendere la Patria e i Valori che nel corso dei decenni sono mutati radicalmente.Furono precettati quando non avevano ancora compiuto diciotto anni. I primi contingenti italiani, 80.000 circa, furono chiamati nei primi quattro mesi del 1917 e, frettolosamente istruiti, vennero inquadrati in battaglioni di milizia territoriale. Alla fine di maggio furono chiamati altri 180.000 ed altri ancora, ma in minor numero, nel mese di luglio. Ma i primi ragazzi del 1899 furono inviati al fronte solo nel novembre del 1917, nei giorni successivi alla battaglia di Caporetto. Il loro apporto, unito all’esperienza dei veterani, si dimostrò fondamentale per gli esiti della guerra.
Le loro imprese furono eccezionali, tanto che ricevettero il seguente encomio da parte del Capo di Stato Maggiore dell’esercito “Armando Diaz”:
«I giovani soldati della Classe 1899 hanno avuto il battesimo del fuoco. Il loro contegno è stato magnifico e sul fiume che in questo momento sbarra al nemico le vie della Patria, in un superbo contrattacco, unito il loro ardente entusiasmo all’esperienza dei compagni più anziani, hanno trionfato. Alcuni battaglioni austriaci che avevano osato varcare il Piave sono stati annientati: 1.200 prigionieri catturati, alcuni cannoni presi dal nemico sono stati riconquistati e riportati sulle posizioni che i corpi degli artiglieri, eroicamente caduti in una disperata difesa, segnavano ancora.In quest’ora, suprema di dovere e di onore nella quale le armate con fede salda e cuore sicuro arginano sul fiume e sui monti l’ira nemica, facendo echeggiare quel grido “Viva l’Italia” che è sempre stato squillo di vittoria, io voglio che l’Esercito sappia che i nostri giovani fratelli della Classe 1899 hanno mostrato d’essere degni del retaggio di gloria che su loro discende.Zona di guerra, 18 novembre 1917».
Alle prese con iPhone, tablet e social, i ragazzi nati alla fine del XX secolo, i diciottenni del 2000, della Grande Guerra sanno quello che sommariamente hanno studiato scuola e di quello che accade del mondo, dei conflitti solo apparentemente lontani dal nostro Paese, conoscono ciò che, spesso casualmente, apprendono attraverso i media o, meno frequentemente, leggono sui quotidiani.Per quel che concerne la politica, le principali istituzioni educative, scuola e famiglia, il più delle volte sono lacunose e carenti nelle informazioni.
Numerose indagini condotte sugli adolescenti e sui giovani italiani rivelano altresì un’evidente tendenza a non volersi coinvolgere nella vita politica attiva, accompagnata dal sentimento d’indignazione sociale che comporta il ritiro. In uno studio pilota condotto da Sensales, Chirumbolo e Areni, i giovani intervistati accompagnano il loro lessico con una connotazione esplicitamente negativa della politica in quanto luogo di corruzione e di mero esercizio del potere…
Essi preferiscono piuttosto impegnarsi nel sociale attraverso il volontariato, nell’associazionismo ad esempio, poiché grazie a questo modus operandi raccolgono frutti immediati e soddisfacenti.
Quello che manca è la capacità di progettare a medio e lungo termine a causa della profonda crisi degli orizzonti valoriali a cui far riferimento.
L’educazione alla politica, con la sua attenzione alle dinamiche storiche e situazionali e per una stretta intesa con tutte le scienze centrate sull’uomo (dalla pedagogia alla sociologia e alla psicologia), lavora per approfondire queste dinamiche, per cercare di tracciare percorsi che sollecitino uomini e donne di questo nostro tempo (gli uomini e le donne di domani, in particolar modo) a vivere con consapevolezza, responsabilità e autenticità la propria esistenza.
Da qui la necessità di un’educazione che continui a riflettere su se stessa per cercare di comprendere e valutare ciò che è riuscita a fare nel passato e ciò che è in grado di fare nel contesto sociale culturale attuale, senza nessuna pretesa demiurgica, con l’illusione di poter risolvere problemi in maniera definitiva, ma come occasione di sollecitazione, di aiuto, di progettazione e di immaginazione del futuro sempre aperta al concorso di altri studi e ricerche.
Oggi, nei cambiamenti rapidissimi di questi nostri tempi, i disorientamenti e le insicurezze sempre più gravi e diffuse alimentano una massa opaca di individualità povere, limitate, e portano verso nuove più radicali chiusure nei confronti dell’altro, dando origine a quella che Bauman definiva “Società liquida”.
Per contrastare queste derive, complesse ma non inarrestabili, il continuo riesame di significati profondi d’identità, di relazione interpersonale e sociale, di solidarietà e di bene comune si configurano come punti di forza per impostare un’educazione che non si riduca ad essere strumentale e funzionalistica e per richiamare come non ci sia processo formativo senza una profonda considerazione delle dimensioni personali e sociali…
L’educazione alla politica si innesta su questa prospettiva con una precisa intenzionalità di costruire una nuova e più umana realtà comune, di promuovere saperi e competenze a sostegno di un modo di vivere partecipato e attivo, con l’impegno di costruire un ambiente accogliente dove sia riconosciuto lo spazio per tutti e per ciascuno.
Si tratta di un bisogno prioritario, di una responsabilità e di un impegno a cui non è possibile sottrarsi, per il bene comune e per le scelte che i nostri “ragazzi del ’99” dovranno operare in prima persona.
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