Il caffè pedagogico

La pedagogia degli oppressi: Paulo Freire

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Nato a Recife nel 1921, il filosofo e pedagogista brasiliano Paulo Freire elaborò un metodo educativo rivoluzionario, valido ancor oggi ed apprezzato per la sua efficacia in ambito scolastico e societario in genere.L’aver vissuto, con la sua famiglia appartenente alla classe media, laGrande depressione,fu determinante per la teorizzazione del concetto di povertà e del binomio oppresso/oppressore che lo rese famoso.

Prendendo le distanze, almeno in parte, dai fondamenti educativi tradizionali che affondano le radici nel pensiero di Platone, Freire intese ispirarsi al pensiero marxista ed anti-colonialista.

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Fautore di una pedagogia in situazione, che parte dall’esperienza per poi elaborare i fondamenti teorici, il filosofo e pedagogista brasiliano in soli 45 giorni alfabetizzò trecento tagliatori di canna da zucchero. Dedicò settantacinque anni “agli straccioni di ogni parte del mondo” per liberarli dall’oppressione attraverso l’educazione, intesa come pratica di libertà: idee maturate attraverso l’esperienza in Pernambuco, regione del Brasile che all’epoca aveva quindici milioni di analfabeti (su una popolazione di 25 milioni), ed approfondite durante la prigionia politica e l’esilio in Cile. Risvegliò negli oppressi la coscienza del proprio valore, inventando la sua rivoluzionaria filosofia di alfabetizzazione: il metodo Paulo Freire, appunto.

cms_8544/3v.jpgDurante un incontro con alcuni professori universitari italiani, nel quale gli venne chiesto se esistesse un metodo educativo trasversale ed universalmente valido, egli rispose col racconto di un’esperienza realmente vissuta: un operaio spagnolo pensò di poter “educare alla libertà” e alla presa di coscienza della propria condizione di oppressi i suoi compagni di lavoro in fabbrica. Presto si rese conto di come fosse difficile suscitare in loro l’interesse necessario all’ascolto; pensò allora di coinvolgerli in una “ricerca partecipata”, per individuare un interesse comune che costituisse una base dialogica da cui partire.

Tutti amavano il gioco delle carte, così, tra una sfida e l’altra, l’operaio riuscì ad ottenere il loro ascolto e a porre le basi per una presa di coscienza della loro condizione di oppressi.

Il metodo rivoluzionario di Freire consisteva nell’alfabetizzare gli adulti in tempo record, con una strategia non meccanica ma ispirata alla filosofia dell’uomo: una relazione dove non è l’educatore che dona la parola ai discenti, ma sono i discenti che la trovano e la vivono.

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Come funziona? Innanzitutto, i gli educatori entrano nel mondo e nel linguaggio degli studenti e ricercano, con loro, le parole generatrici - ad esempio, favelas - che esprimono emozioni e realtà, lo stile di vita dell’analfabeta, in modo che discutendo di quelle parole possano riconoscere la loro stessa vita. Scomponendole e ricomponendole, trovano le diciassette parole migliori che contengono le sillabe e i fonemi fondamentali della lingua, con le quali si possono poi formare tutte le altre parole. Si costruisce così un percorso di apprendimento basato sul dialogo, inteso come strumento conoscitivo reciproco. In poco tempo, con il metodo Freire nacquero più di ventimila nuclei di alfabetizzazione in tutto il Paese: una rivoluzione senza precedenti. Ma alfabetizzare gli adulti significava anche far conquistare loro il diritto al voto.

Anche nella complessità attuale, secondo Freire, ci si trova sempre di fronte alla dicotomia sociale tra oppressori e oppressi: gli oppressori sono coloro che applicano uno “scetticismo reazionario” volto al mantenimento dello “status quo”, mentre gli oppressi applicano un “radicalismo rivoluzionario” volto al cambiamento dello stato sociale. Da qui, i processi di “disumanizzazione” - la violazione dei diritti, l’ingiustizia sociale, il non accesso alla conoscenza – e di “prescrizione”, cioè l’introiezione dei valori degli oppressori. Per Freire l’educazione è esperienza di libertà, è l’uomo che libera se stesso. E per questo l’errore per eccellenza, nell’educazione, è la ripetizione della dinamica tra oppressore e oppresso, tra un educatore che sa e tanti educandi che non sanno, tra l’educatore che parla e gli altri che ascoltano, tra un educatore che pensa ed educandi che “sono pensati”.

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L’educatore, secondo il pedagogista brasiliano, deve possedere due doti imprescindibili: l’amore e l’umiltà.

- Amore perché l’educatore vero non usa l’educazione depositaria – cioè non vede l’educando come un contenitore da riempire, come puro oggetto – ma l’educazione problematizzante, dialogica, dove educatore e educato imparano assieme, educano e sono educati l’un l’altro. “La prima virtù da costruire immediatamente - diceva Freire - è il coraggio di amare il processo educativo stesso, di amare e rispettare lo studente con cui lavoriamo indipendentemente dal fatto che gli piacciamo o no”. Lo studioso non concepiva una pratica educativa priva di una capacità di amore vero, non falso.

- Umiltà in quanto l’educatore deve rispettare l’educando: “Un docente che si gloria di se stesso e si sente come un sole che illumina allievi senza luce, anche se è competente nella materia, si rivela incompetente dal punto di vista umano”. Freire spingeva gli educatori a non avere paura: “Lo studente indovina la mediocrità dell’insegnante, ha una sensibilità particolare nel riconoscere un sapere falso, senso che deriva dalla sua condizione di discente. La domanda dell’educando ci riporta all’esistenza umana: un educatore umile non ha paura delle domande e, quando non ha le risposte, lo ammette e le trova insieme agli studenti”.

Della dicotomia oppressi/oppressori si parla ancor oggi, ed è questa la ragione per cui la filosofia educativa di Paulo Freire è ancora di grande attualità, rivolta soprattutto a “colui il quale teme la libertà e si rifugia nella sicurezza vitale, preferendola alla libertà carica di rischi”, come sosteneva Hegel.

Lucia D’Amore

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