Effetto Brexit: le famiglie britanniche rischiano di perdere i lavoratori au pair

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29 marzo 2019. È questa la data che sancirà, simbolicamente, l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, benché i trattati bilaterali Londra-Bruxelles prevedano in realtà un lungo periodo di transizione che si prolungherà fino alla fine del 2020. Ciò non implica che dovremo attendere così a lungo per osservare i primi effetti della storica decisione del Paese d’oltremanica: al contrario, sia sul piano economico che su quello socio-culturale, le conseguenze della Brexit sembrano essere percettibili fin da ora. In modo particolare, la British Au Pair Agencies Association ha rivelato che, negli ultimi anni, il numero di lavoratori che hanno scelto di recarsi in Inghilterra sarebbe calato addirittura del 75%. Un dato significativo e del tutto impossibile da prevedere fino a poco tempo fa, perlomeno non in queste proporzioni.

Le ragioni di tale fenomeno vanno ricercate principalmente nella decisione da parte di Downing Street di modificare numerosi trattati relativi alla propria politica migratoria. Una serie di modifiche che, badate bene, non hanno colpito tanto gli extracomunitari o i clandestini presenti sul territorio britannico, quanto gli studenti e i giovani lavoratori stranieri.

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Secondo le nuove regole, infatti, i cittadini provenienti da altri Paesi dell’Unione Europea (in gran parte anche italiani, come sappiamo) vengono equiparati a quelli provenienti da ogni altro Paese del mondo. In altre parole, qualunque ragazzo o ragazza desiderasse recarsi in Inghilterra per imparare la lingua o per vivere un’esperienza formativa particolarmente fruttuosa, dovrebbe fare i conti con un regolamento particolarmente stringente. Un regolamento che si applica anche a tutti i lavoratori che da anni vivono sul suolo britannico e che, spesso, sono perfettamente integrati. Non esisteranno più i progetti di scambi culturali promossi con l’Europa, né alcuna forma di privilegio con i suoi Stati membri. Una categoria in particolare, tuttavia, rischia di essere colpita più delle altre da questo tanto brusco quanto inevitabile cambiamento: i lavoratori au pair.

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Un lavoratore au pair è un ragazzo (o, più spesso, una ragazza) con meno di 30 anni d’età, che solitamente conosce almeno due lingue e che chiede di essere ospitato da una famiglia straniera per un periodo che varia fra i due e i dodici mesi. Una volta lì, il suo lavoro consiste principalmente nello svolgimento di faccende domestiche più o meno leggere e, per due o tre sere alla settimana, di un lavoro come babysitter. Lo stipendio (che ovviamente varia in base alle competenze e alle mansioni da svolgere) non è altissimo, ma è sufficiente per raggiungere l’indipendenza economica e per autofinanziare la propria permanenza nel Paese straniero. Quando un lavoratore au pair si reca in un Paese dell’Ue, non ha bisogno di esibire alcun certificato se non quelli relativi al proprio stato di salute; ma, quando si reca in qualunque altra nazione, le pratiche burocratiche da sbrigare diventano molto più numerose e ostili. Il Regno Unito, come avrete intuito, ha scelto d’iscriversi a quest’ultima categoria di nazioni. A partire dal marzo prossimo, addirittura, i lavoratori au pair che vorranno trasferirsi in Inghilterra avranno l’obbligo di sottoporsi a una stringente misura di registrazione, la quale potrebbe rivelarsi ben più selettiva di quanto non si possa pensare.

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“Dopo la Brexit, la Gran Bretagna è percepita come anti-straniera e gli europei sono meno disposti a venire.” Ha dichiarato la direttrice della British Au Pair Agencies Association. In effetti, sono sempre di più i giovani che ai Paesi britannici preferiscono l’ospitalità della vicina Irlanda o di altri Paesi del nord Europa. Un mutamento che rischia di determinare forti ricadute non solo sui giovani, ma soprattutto sui cittadini inglesi. Già, perché circa 40.000 famiglie britanniche che fino ad oggi hanno usufruito del lavoro e dello zelo dei lavoratori au pair, nei prossimi anni non potranno godere della stessa fortuna e dovranno, non senza qualche difficoltà, rimpiazzarli. Sfortunatamente, però, non è affatto scontato che i giovani inglesi, soprattutto quelli ben istruiti, accettino così facilmente un lavoro umile e poco gratificante. In estrema sintesi, mandare via gli immigrati non ha molto senso se i propri cittadini non sono in grado di svolgere lo stesso lavoro allo stesso prezzo.

Gianmatteo Ercolino

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