“Non chiedere, potrebbero accontentarti!”.
Questa frase oggi si può applicare alle imprese italiane; il proverbio invita a prestare attenzione a ciò che si chiede, perché non avendo le idee chiare sulle conseguenze o non avendo voluto comprendere che alcune saranno negative, l’ottenere ciò che si chiede implicherà un danno maggiore del beneficio.
E’ quel che è accaduto: dopo decenni di campagne di comunicazione su tutti i media in cui le imprese chiedevano più flessibilità sul lavoro (cioè più possibilità di licenziare), e meno contributi da pagare, lo hanno ottenuto oltre l’immaginabile.
Esclusa una isoletta di naufraghi ancora un po’ tutelati, quasi ogni nuovo lavoratore entrante è precario; con gli ultimi decreti del governo Renzi (jobs act, poco più di dieci anni fa) si è raggiunta una instabilità del lavoro che ci ha riportati a un secolo fa, e contemporaneamente le riforme sul sistema pensionistico (ultima quella del governo Monti) rivelano anche ai meno portati ai calcoli finanziari una triste verità: l’attenzione del Governo italiano a una pensione sufficiente per vivere non esiste più.
Henry Ford diceva dei suoi operai:” Se li pago bene, compreranno le mie auto!”. Le imprese private italiane dicevano:” Se li pago male, venderò lo stesso e farò più profitti!”.
Evidentemente le imprese private italiane sono carenti in formazione economica, perché anche uno studente di ragioneria sa che se il reddito disponibile (dato anche dai salari) scende, i consumi diminuiscono. Le imprese private italiane sono anche carenti di formazione finanziaria, perché qualunque studente di economia sa che in previsione di flussi finanziari minori deve aumentare il risparmio. Si possono associare alle imprese private italiane anche tutti gli uomini politici che hanno creduto che si potesse gestire uno Stato come se fosse una azienda, ovviamente; sarebbe ingiusto escluderli.
Le famiglie italiane, invece, sembrano più sagge di tanti economisti neoliberisti e di tanti uomini politici moderati: strette nella morsa tra redditi attuali dei giovani bassi e precari, e redditi futuri degli anziani sempre più posticipati e sempre più bassi, hanno fatto e fanno quello che qualunque contadino della prima metà del XX secolo ha fatto: risparmiano!
E’ facile essere profeti affermando che, man mano che si diffonde la percezione dei “tagli” alla sicurezza economica attuati dallo Stato italiano la propensione al risparmio salirà a livelli di più di un secolo fa. Ma è facile anche essere profeti affermando che al calo del reddito disponibile anche la possibilità di risparmiare scende.
Un freno al risparmio è la difficoltà (non solo psicologica ma mediatica: la spinta a spendere è enorme) del tornare al tipo di vita di un secolo fa: niente automobile, niente gadget elettronici, niente armadi pieni di vestiti, niente ADSL, niente vacanze, niente paghetta ai figli, eccetera…
Vediamo la situazione poco più di dieci anni fa. I risparmi delle famiglie erano aumentati nel 2013 di 15,4 miliardi (+1,8%), ma contemporaneamente si tolsero i soldi dalle banche mettendoli in titoli (liquidità delle banche -7,4%). I consumi diminuivano (vendite prodotti commerciali -3%), mentre imprese (anche loro risparmiano) diminuivano l’occupazione stabile (potevano tranquillamente farlo, e lo hanno fatto) , creando ulteriore insicurezza e maggiore risparmio: di chi è ancora occupato per prepararsi al peggio.
Se i risparmi dei lavoratori dipendenti aumentano, i loro consumi scendono; ma oltre un certo livello anche i risparmi scendono e i consumi ancora di più; se i consumi scendono non solo le imprese vedono ridursi il fatturato, ma anche parte della classe dei commercianti (per intendersi, i furbetti che al passaggio all’euro hanno fatto aumentare il costo della vita del 40% con il semplice trucco 1.000 lire = 1 euro) vede ridursi i propri.
Sono stati necessari molti decenni per aumentare la domanda interna di un popolo avvezzo a vivere da formica (in Cina non ci sono ancora riusciti), e pochissimi anni per invertire la tendenza; e si tratta di una inversione “storica”. Il XX secolo aveva dimostrato che un sistema di sicurezza sociale diffuso era benefico per l’economia europea, e si era arrivati a livelli di benessere medio in Europa mai raggiunti nella storia; nel nome dell’interesse privato (chiamato oggi “mercato”) si è voluta togliere la sicurezza, dimenticando che senza la sicurezza non possono esistere mercati (i “mercati” si sono sempre tenuti all’ombra del palazzo, dell’abate, e dei loro armigeri) .
Si era arrivati al punto di credere che l’agricoltura avrebbe continuato a diminuire di importanza, le fabbriche ad avere sempre meno peso, e che tutti sarebbero stati occupati nei servizi; in Italia ormai i giovani stanno tornando all’agricoltura appena possono, l’import di prodotti dall’estero sta distruggendo la rete di imprese italiana, e il settore servizi non produce più occupazione, se non precaria e a basso reddito; anche questi sono punti di svolta storici.
Possiamo vedere adesso gli effetti di quaranta anni di politiche economiche del “lasciar fare” UE, mentre vediamo il carrarmato pianificatore Cina procedere imperterrito verso sempre nuovi record.
Con tutti i suo svantaggi l’euro aveva un vantaggio: la concezione tutta tedesca (Weimar è stata una ben dura lezione) che l’inflazione deve essere zero. Questa concezione fa sì che i risparmi in euro non fossero erosi dall’inflazione come è successo per decenni ai risparmi in lire; anche per questo un ritorno alla lira era difficilissimo: in una epoca di recessione, insicurezza lavorativa, insicurezza pensionistica, era inconcepibile che i risparmi delle classi povere fossero erosi dall’inflazione, pena la fuga dal risparmio monetaria. E invece la UE, accettando una inflazione del 2%, ha distrutto anche questo vantaggio.
Non è finita. Accettando le auto sanzioni contro la Confederazione Russa la UE ha scelto la strada della energia ad alto costo e la strada delle spese militari insensate, e questo ha iniettato robuste dosi di inflazione, che si traducono in tagli reali sulla sanità pubblica, sulle pensioni pubbliche, sulla scuola pubblica. Replicando, ma gradualmente, il crollo dello Stato assistenziale che si è verificato con il crollo dell’URSS. Sembra quasi che la classe dirigente UE miri all’autodistruzione della UE stessa, e non se ne accorga poiché tutti i problemi sono scaricati sulla classe povera.
Per esattezza: Appena è stato tolto l’obbligo di mostrare il doppio prezzo in lire e in euro, una categoria di commercianti ha equiparato il costo della merce che costava mille Lire a 1 Euro, raddoppiando così i prezzi. A tale scorrettezza si sono adeguati velocemente tutti gli altri.
Diversi economisti hanno dichiarato che ci debba essere una certa inflazione. È un palese falso. La cosa ideale sarebbe inflazione zero. Quando è alta si arricchiscono i possessori di beni e di merci, mentre ci rimettono i pensionati e gli stipendiati. Poi bisognerebbe distinguere tra l’inflazione nazionale e quella importata sulla quale il Governo può fare poco. Grazie per l’articolo.