In tempi lontani, molte società rispettavano profondamente l’anziano e lo definivano maestro, in quanto si riteneva che avesse tutta l’esperienza necessaria per ben consigliare circa le problematiche a lui sottoposte. A Sparta, per esempio, l’anziano era preso in grande considerazione, mentre ad Atene la tendenza era quella di rifiutare i vecchi, in quanto la società greca, come ben sappiamo, enfatizzava la bellezza. E se Saffo ha dedicato troppi versi al decadimento del corpo con l’avanzare dell’età, Platone sosteneva che avrebbero dovuto governare solo gli uomini anziani. In Oriente, in passato come oggi, emerge un’attenzione particolare verso questa figura, legata alla diversa accezione del concetto di bellezza diffuso in Occidente.
Ormai da tempo, in Italia l’anziano è una figura ambivalente: “scomoda” per la società ma, allo stesso tempo, di vitale importanza per l’equilibrio della famiglia e della scuola. Oggi i maestri potrebbero essere i nonni dei bambini a cui insegnano, in conseguenza all’invecchiamento della popolazione. E’ ovvio che ci chiediamo se questo sia un bene perché, in virtù del fatto che un tempo si ritenevano anziani uomini e donne di 30 anni, oggi invece si raddoppia. Si è anziani a 60 anni e a questa età, si sa, non si è molto pazienti con i bambini. E’ quindi ovvio che ci si interroghi su come insegnino questi nonni.
Secondo i dati trasmessi dalla Uil nel gennaio del 2018, in Italia l’accesso alla pensione risulta essere superiore di 3 anni rispetto alla media europea. Ed ecco che siamo i primi in Europa. Triste primato, poco consolante. Ma che visione abbiamo di questi insegnanti? Consideriamo anzitutto che, rispetto ai nativi digitali, sono poco preparati nel campo della tecnologia, così come nelle lingue straniere. Sappiamo bene che con l’avanzare dell’età è possibile che si aggiunga lo stress (pensiamo per esempio al fenomeno del burnout, l’esaurimento emotivo), il cinismo e i sintomi della depressione. Sicché, quando uno scolaro è impreparato sulla lezione, lo si umilia, si offende e si punisce.
Il sistema pedagogicamente corretto è quello di sostenere il discente e non umiliarlo davanti alla classe, supportando e sostenendo se possibile (alcune volte può essere ammesso) il vuoto di memoria. Infatti, può succedere che a volte la timidezza faccia questo effetto. Nel caso in cui l’impreparazione non sia un’abitudine, il bravo maestro, sostenendo il giovane, conquista la sua fiducia, e si comporta come un leader. Qui non c’entra l’età, né l’esperienza. Conta la sensibilità.
Intervengono in aiuto degli insegnanti nuove formule didattiche, quali i metodi metacognitivi, in cui viene data ai bambini l’opportunità di pianificare e monitorare il proprio lavoro, dirigere il proprio apprendimento. Il bambino prende coscienza dei progressi raggiunti, sollevando, almeno in parte, l’insegnante dal peso delle troppe responsabilità. Il vecchio metodo scolastico, in cui il maestro guida tutta la classe, è il metodo standard che, trattandosi di apprendimento passivo, ha come unica fonte esclusivamente il bagaglio nozionistico. Con questo metodo, inoltre, il rischio è che non si rispettino i tempi diversi di apprendimento di ciascun bambino, oltre che procurare stress negli insegnanti.
La scuola si evolve oggi attraverso l’eliminazione dei compiti e dello studio a casa. Dopo la classe capovolta, aboliamo anche lo zaino. Con il progetto niente zaino, si fornisce agli alunni tutto il necessario allo studio in classe, con materiali multimediali enciclopedici. I bambini imparano in maniera attiva, riunendosi attorno ad un tavolo, cooperando nell’apprendimento.
La scuola cambia – sebbene il miglior insegnamento sia quello che si fa da pari a pari – considerando che tutti abbiamo da imparare e, soprattutto, che non finiamo mai di farlo. Il maestro non deve avere sempre ragione. Oggi il indossa un nuovo vestito, dismettendo il vecchio asservimento all’ubbidienza e adesione acritica.
Ma più che nuovi metodi didattici, di insegnanti giovani e preparati, e di genitori attenti, i bambini hanno bisogno di certezze. Il messaggio che dobbiamo far giungere, è che è indispensabile preparare il futuro con lo studio. Fare esercizi e sbagliarli. Riprovare più volte i tentativi, sino a riuscirci. E’ bene che i più piccoli comprendano che lo studio serve a se stessi, e più si lavora più crescono le opportunità di poter riuscire nella vita. Perché nessuno ci regala niente. Non dobbiamo dimenticare, inoltre, che non c’è educazione senza autorevolezza, che permette di assecondare il processo di conquista dell’autonomia individuale, indispensabile strumento per favorire il governo di sé.