Vinadio è un comune italiano di 580 abitanti della provincia di Cuneo famoso per i suoi giganti o, come altrimenti, definiti i suoi freak. Freak è un termine inglese che significa “capriccio, mostro, scherzo della natura”. In questo modo venivano chiamate un tempo le persone che presentavano deformità, disabilità o particolari caratteristiche fisiche o estetiche: nani, obesi, donne barbute, albini, gemelli siamesi e chi più ne ha più ne metta. Tutti coloro che erano percepiti come “diversi” dalla moltitudine venivano definiti freak. Spesso i freak finivano a lavorare nei circhi, dove la morbosa curiosità dei “normali” nei loro confronti poteva essere soddisfatta.
I freak di Vinadio si chiamavano Battista e Paolo Antonio Ugo.

Battista vide la luce il 21 giugno 1876, Paolo il 28 giugno 1887. Il padre Antonio e la madre, Maria Teresa Chiardola, erano persone umili che dovevano crescere sette figli.
Erano due giganti. Battista era alto 265 centimetri e pesava oltre 200 chili, Paolo era più basso di poco. Mangiavano mezza dozzina di uova alla volta e bevevano in boccali da mezzo litro.
Anche vestirli era un’impresa, perché avevano bisogno di abiti e scarpe fatti su misura. I due fratelli si prodigavano per contribuire al sostentamento della famiglia lavorando come contadini, pastori e taglialegna a seconda delle stagioni.
Tutta la valle parlava della stazza e della forza fisica dei fratelli Ugo. Si raccontava che Battista, quando andava alle elementari, fosse così imponente da non essere in grado di adattarsi ai banchi come gli altri suoi compagni e che dovesse usare il tronco di un castagno per sedersi.
Da ragazzo poteva portare da solo sulle sue spalle un carro pesante 400 chili e passeggiando sotto i portici di Cuneo era costretto a camminare curvo per non battere la testa.

I compaesani restavano a bocca aperta quando si accendeva un sigaro sfregando il fiammifero sui balconi posti a tre metri da terra.
Invece le fattezze da corazziere di Paolo mandarono in visibilio il medico della leva che esclamò visitandolo: “Sarebbe una bella guardia al Palazzo Reale di Roma!”. Ironia della sorte, il fratello Giuseppe, invece, fu riformato per insufficienza di statura (era alto soltanto un metro e cinquanta).
Le condizioni economiche della famiglia imponevano un contributo sempre maggiore da parte dei due ragazzi (anche considerando la gravosità dei costi per alimentarli e vestirli).
Fu così che nell’autunno del 1891 Battista fu mandato dal padre oltre le Alpi, in Francia, per lavorare come boscaiolo a Barcellonette.
Lì venne notato dal proprietario di un circo itinerante che gli propose di unirsi al carrozzone prospettandogli guadagni e notorietà. Battista accettò. Il suo nome e le sue origini furono francesizzati: diventò Baptiste Hugo, nativo di Saint-Martin-Vésubie, piccolo centro delle Alpi Marittime. Ebbe così iniziò la sua vita di fenomeno da baraccone in giro per la Francia.

Il pubblico accorreva a frotte per vederlo, tanto che furono stampate numerose cartoline ricordo che lo rappresentavano nelle situazioni più disparate.
Per pochi centesimi le persone potevano portarsi a casa l’immagine di questa creatura incredibile.
Ogni tanto Battista ritornava a casa ed era una festa.
Un calzolaio di Cuneo gli chiese uno dei suoi stivali, con suola di 42×17 centimetri, da esporre nella vetrina della sua bottega.
Alcuni suoi famigliari, fieri di questo parente così strano da essere addirittura diventato famoso, aprirono a Pratolungo la Trattoria del Gigante, di cui oggi rimane soltanto l’insegna sbiadita dal tempo.
Nel 1905 anche Paolo fu costretto a unirsi a Battista nella vita circense. Insieme i due fratelli, ribattezzati Géants des Alpes, Giganti delle Alpi, furoreggiarono in Europa riempiendo le piazze delle città e i salotti delle ricche famiglie che vedevano in loro niente più che un divertissement fuori dall’ordinario.
Ma furono soprattutto le tasche degli impresari che si riempirono di denaro: a Battista e Paolo restava poco di quei grandi guadagni.
Nonostante ciò, i fratelli Ugo potevano comunque spedire soldi alla famiglia. Comprarono anche una casa a Maisons-Alfort, paese distante meno di dieci chilometri da Parigi. Il loro essere esibiti consentiva alla loro famiglia di vivere agiatamente ma tutto naufragò il 15 febbraio 1914, quando Paolo morì a soli 26 anni dopo una breve malattia.
Battista organizzò il funerale e una fotografia apparsa su un quotidiano francese lo raffigura mentre segue mesto la carrozza funebre che trasportava l’enorme feretro.
Paolo fu sepolto nel cimitero di Maisons-Alfort, in una tomba speciale di due metri e mezzo per cui Battista dovette pagare un sovraprezzo (le tombe ordinarie erano di due metri) e che oggi non esiste più
Scaduta la concessione, le spoglie di Paolo furono trasferite nell’ossario generale.
A 38 anni Battista, con il morale a pezzi ma, sempre per sopravvivere, andò in America per entrare a far parte del Circo Barnum&Bailey di New York, celebre per i suoi spettacoli di “curiosità umane” – la definizione che Barnum prediligeva per descrivere le attrazioni del suo circo.
A loro volta le “curiosità umane”, ritenendo il termine freak altamente offensivo, si autodefinivano “prodigi”, come se il modo di chiamarli potesse restituire loro un po’ della dignità sottratta dalla quotidiana e degradante esposizione per il divertimento di un pubblico pagante.
Battista riprese questa vita, ma costretto a indossare costumi alla Tarzan, che non riusciva a digerire perché lo facevano sentire troppo ridicolo, lontano dalla sua terra e dai suoi affetti, cominciò a lasciarsi andare. Morì il 23 aprile 1916 all’ospedale Willard Parker di Manhattan.
Il giorno successivo apparve la notizia sul New York Times: vi si affermava che il gigante era morto di nostalgia per la sua assolata Italia.
Ancora oggi il cimitero di Green-Wood a Brooklyn custodisce la sua tomba, anche se per molto tempo si credette che il corpo fosse stato trafugato dai nativi indiani, suoi amici e compagni di disavventure sotto il tendone, per seppellirlo nelle loro terre.
La storia di Battista e Paolo è stata narrata da scrittori come Alberto Revelli, Nico Orengo, Adriano Restifo, Paolo Balmas.
La loro storia è stata raccontata in canzoni, opere teatrali, libri come “Gigante” di Paolo Balmas, che racconta il contesto in cui vissero, l’epoca del circo e della Belle Epoque
non come fenomeni da baraccone, ma semplicemente come persone che con il loro lavoro portavano della gioia e delle poesia nei posti in cui andavano
La pronipote Ida, sentendo anche i racconti di famiglia, ricorda che non erano felici nel ruolo, spesso umiliante, che dovevano rivestire. Esibirsi davanti a tutti non era appagante ma dovettero farlo per necessità.
Sono sepolti in America e in Francia, il sogno di Ida è riportarli a casa, al cimitero di Vinadio.

I loro occhi sono lo specchio della loro indole semplice e genuina, a dispetto di tutte le difficoltà e le malinconie di una vita da freak. Per rendere doverosamente omaggio ai due giganti, nel 2012 nei pressi del famoso Forte Albertino di Vinadio, sono state installate due sculture colorate, una rosa e una verde mela, realizzate in acciaio e fibra di vetro dall’artista scozzese David March.
Di molti altri particolari della vita dei giganti di Vinadio parlerò nel mio programma radiofonico settimanale in onda in diretta martedì alle 12.15 e, in replica, giovedì p.v. alle ore 17.30 su RadioRegional (AM – Onde Medie sulla frequenza 1440 kHz o al link:
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In podcast al link:
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Per il testo fonte: piemontese.it di Manuela Vetrano