L’importante ieri era apparire. Oggi l’importante è mettersi in mostra, vetrinizzarsi per far conoscere e vendere prodotti specifici attraverso i social. E’ l’epoca dell’autorappresentazione di massa, possibilmente di persone non famose, con l’unica finalità di monetizzare la propria presenza scenica scimmiottando, imitando, traendo ispirazione da chi ce l’ha fatta, le celebrità-youtuber. Il XXI secolo ha reso quello che poteva essere un sogno, una realtà alla portata di tutti, in virtù della parità di accesso alle nuove tecnologie. Nasce e prolifera sempre di più un movimento di rete composto in gran parte di nuovi soggetti ieri sconosciuti, oggi osannati e ricchi di pletore di follower: le microcelebrità. Il termine è più noto con il nome di micro-influencer, ovvero soggetti che ottengono rapidamente visibilità, e dunque successo, grazie a un pubblico di nicchia pronto a seguirlo sui social e a condividerne contenuti, fatti e parole. Si aggiunga anche la generale capacità di molti utenti di considerarsi dei brand, attori che auto promuovono sia se stessi sia il prodotto di consumo ad altri.
Far carriera contando, inizialmente, su una micro rete di follower, consta di un sistema culturale basato su un continuo aggiornamento di tutta la documentazione digitale presente in perenne cambiamento, su frequenti e costanti interazioni con il proprio gruppo di sostenitori per coinvolgerli e farli sentire al centro dell’attenzione e di una rapida circolazione dei contenuti su tutti i circuiti social disponibili. La netta differenza però con le economie vetero industriali del passato e il product placement degli old media, sta sull’idea di amicizia, convivialità, familiarità e socialità su cui si basa la vera cultura dei social media.
La continua sensazione di intimità in rete crea una terra di mezzo, uno spazio eterogeneo, in cui l’interfaccia è sempre il pronome “tu”, il capitale umano su cui basare e stendere una superficie estetica e ideologica che produce un soggetto immerso nell’immaginario onirico di relazioni a base di hardware e software che rendono gli utenti falsamente consapevoli di essere direttamente loro la fonte e la sostanza della codifica e decodifica dei messaggi sullo schermo. In realtà siamo asserviti alle macchine su cui battiamo freneticamente i tasti, una condizione nella quale siamo tutti prodotti e produttori in uno stato di business e di circolazione di beni e oggetti senza fine. Nella centrifuga della lavatrice social-instagrammatica, per esempio, dati, individui, politici, società per azioni, terrappiattisti e casalinghe semi disperate, sono tutti intrecciati allo stesso livello di racconto celebrativo. La nuova mano invisibile si occupa oggi di regolare numericamente le quantità di follower e di “Mi piace” sotto i post di pagine web 2.0; sono essi i nuovi metri di giudizio con i quali dedurre il grado di prestigio personale acquisito, mai del tutto, e le neo gerarchie social(i) di grandi e piccoli influencer, nuovi capitalisti dell’era tecnodigitale.