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BIELORUSSIA, ANCORA REPRESSIONE

Lukashenko ha vinto di nuovo, nelle finte elezioni democratiche da lui direttamente controllate. La leader dell’opposizione Tikhanovskaya, che con un coraggio da leonessa aveva riempito le piazze di tutto il Paese durante la campagna elettorale, al conteggio ufficiale (che ribadiamo, nessun osservatorio internazionale ritiene neanche lontanamente affidabile) non ha raggiunto il 10% dei voti, e ora si è ritrovata costretta a scappare all’estero per proteggere sé stessa e i suoi figli: “Che Dio non vi dia mai una scelta come quella davanti alla quale mi sono trovata io”, ha scritto via Internet, “Perciò dico a tutti: prendetevi cura di voi. Nessuna vita vale ciò che sta succedendo adesso. I bambini sono la cosa più importante che abbiamo nella vita”.

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Quello a cui Tikhanovskaya si riferisce sono gli scontri brutali che stanno avvenendo in Bielorussia dal momento dell’ufficializzazione dei risultati elettorali: migliaia di cittadini si sono riversati per le strade in protesta contro il dittatore Lukashenko, e la repressione, come prevedibile, non si è fatta attendere. Si parla in soli 4 giorni di circa 7mila persone arrestate, oltre 250 ferite e almeno 2 deceduti. Le forze dell’ordine hanno in dotazione proiettili veri, e si teme che decidano presto di utilizzarli massicciamente.

Le proteste, organizzate tramite Telegram che è attualmente l’unica app di messaggistica accessibile in Bielorussia, dato che le cifrature riescono ad aggirare la censura di Internet applicata dal regime, si stanno espandendo a larghi settori della società. Diversi dipendenti statali e presentatori hanno dato le dimissioni, oltre ad un capitano della polizia. Circa 500 amministratori delegati di aziende tecnologiche hanno minacciato di trasferire le loro imprese all’estero se la repressione non cesserà, mentre sono comparsi sui social video, la cui veridicità resta da appurare, di uomini che si definiscono ex membri delle forze speciali e si filmano mentre buttano via le divise in segno di protesta contro le violenze della polizia.

Ovviamente, la repressione non ha risparmiato i giornalisti: in un Paese in cui tutta l’informazione è controllata dal governo, gli unici liberi sono gli inviati dall’estero. Così, le forze di polizia bielorusse si sono lanciate in una vera e propria caccia ai giornalisti senza accredito: un’operazione che ha visto finora arrestati 64 professionisti dell’informazione. Tra di essi, un freelance italiano, Claudio Locatelli, il quale, come riporta Il Messaggero, ha pubblicato su Facebook un messaggio in cui racconta la sua inquietante esperienza: “Sono stato brutalmente arrestato e finalmente dopo 3 giorni senza cibo e con pochissima acqua adesso sono libero, sto bene. Non posso far altro che aspettare di essere in sicurezza in Italia per spiegare meglio la situazione”. Locatelli ha ringraziato l’Italia per aver fatto sì che si creassero le condizioni per la sua liberazione; attualmente si trova nell’ambasciata italiana a Minsk.

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Data:

13 Agosto 2020