La stretta di Lukashenko in Bielorussia prosegue a ruota libera nonostante la perseveranza di un popolo che si dimostra disposto a combatterlo pacificamente a oltranza per difendere i valori democratici, ormai a più di un mese dall’inizio delle proteste. Ascoltata dalla commissione esteri dell’Europarlamento, Tikhanovskaja, la leader dell’opposizione bielorussa, ha infatti affermato: “Continueremo a protestare per settimane, mesi, anche anni se necessario. Non saremo più ostaggi di Lukashenko, non vivremo più nelle sue prigioni, non torneremo più nello stato in cui abbiamo versato per ventisei anni“. La questione Lukashenko ha infatti portato l’UE a rafforzare i contatti con gli esponenti diplomatici bielorussi e mobilitarsi per mettere al bando in primis la violenza utilizzata come mezzo di repressione da parte delle forze armate, contro le legittime proteste dei cittadini bielorussi che hanno, come ragione a monte, anni di corruzione istituzionale e la violazione delle speranze di cambiare tale situazione, che erano state riposte in delle elezioni successivamente rivelatesi evidentemente truccate.
L’Ue, ha però anche dimostrato l’incapacità di tirarsi fuori da uno spiacevole impasse, che è venuto a crearsi a causa dei meccanismi che regolano il voto circa la disposizione di azioni comuni, specificamente in tema di PESC, Politica estera e di sicurezza comune. Cipro infatti, in sede di Consiglio, pur condividendo la necessità di disporre sanzioni contro il regime di Minsk, ha dichiarato la sua indisponibilità ad apporre voto favorevole a tale provvedimento, fino all’ottenimento dell’inasprimento delle sanzioni contro la Turchia per le trivellazioni nelle proprie acque territoriali, avvalendosi dunque del diritto di veto di cui dispone in virtù del requisito dell’unanimità, richiesto per legiferare in materia. Proprio su questo punto la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, si è pronunciata, affermando che è il momento di sostituire l’unanimità, dunque il diritto di veto per ogni capitale, alle grandi decisioni di politica estera per passare alla maggioranza qualificata, in modo tale da dotare finalmente l’Unione di una credibile forza geopolitica.
Di fronte alla posizione assunta dal governo cipriota di Anastasiades, l’UE valuta l’adozione di una nuova lista di sanzioni da attribuire agli attori turchi coinvolti nella vicenda trivellazioni, (opzione che escluderebbe le sanzioni più pesanti che colpirebbero duramente ampi settori dell’economia turca e avrebbero effetti blandi sul problema posto da Cipro), oppure l’adozione di un ulteriore ultimatum nei confronti di Ankara. Josep Borrell, l’Alto rappresentante europeo, ha dichiarato che le ritorsioni di Cipro “minano la credibilità dell’Unione”, oltre ad impedire di procedere con le sanzioni contro la Bielorussia, poiché l’Unione già da agosto parlava di sanzioni, e il Parlamento europeo si era mobilitato ad approvare una risoluzione nella quale oltre a sposare le ritorsioni affermava di non riconoscere più Lukashenko come presidente e denunciava i brogli elettorali, parlando di voto invalido. Allo stesso tempo è anche vero che l’indulgenza nei confronti di un altro attore politico dai profili opinabili come Erdogan, non è la migliore delle opzioni, seppure nell’ottica della salvaguardia del dialogo recentemente riaperto tra Grecia e Turchia, auspicando una risoluzione diplomatica del contenzioso.