Si diffonde sempre più, a macchia d’olio, la pratica condivisa di molti governi mondiali di procedure di blocco o addirittura di divieto di utilizzo delle piattaforme social. La trasversalità di azioni eminentemente politiche ma spesso dettate anche da dettami irredentisti e religiosi, abbracciano ormai Paesi di tutto il mondo, dall’Europa all’Africa, dal continente americano all’Asia. La Turchia, in ordine di tempo, è stato l’ultimo Paese a bloccare una piattaforma social, Instagram, perché, secondo alcune voci provenienti dai fedelissimi del governo Erdogan, non rispetterebbe alcune norme che vieterebbero l’incitamento alla violenza e all’odio. La spiegazione di tale azione governativa è dunque da ricercare, come spesso accade nell’ambito del secolare monitoraggio delle comunicazioni e dell’informazione di propaganda, nel sottoporre a un ferreo e severo controllo politico e religioso tutto ciò che proviene dall’infosfera digitale. Meta però non è la sola a essere nel mirino delle autorità politiche di alcuni Paesi a forte connotazione religiosa.
TikTok, per esempio, è la preferita, in senso negativo, delle mire proibizionistiche di Paesi come Usa, Canada, Australia, Regno Unito, Francia, Danimarca e altri, per dare l’idea come la tendenza sia diffusa e trasversale, abbracciando ragioni di ordine e sicurezza nazional da difendere contro le intrusioni e la sottrazione dei dati personali di utenti e agenzie nazionali. Bytedance, la società che controlla l’app cinese, è poi totalmente bannata da Paesi a prevalenza musulmana o comunque fortemente imbevuti di tradizioni religiose, come Nepal, India, Iran e Turkmenistan. Sarebbe però corretto puntualizzare che il divieto non è esclusivo verso TikTok, ma abbraccia altre piattaforme social. Per dare un’idea di come la libertà di collegamento a una rete vpn sia considerata fuorilegge, uno studio pubblicato dal centro di ricerca Comparitech ha mostrato tutti gli ostacoli presenti nell’utilizzo della rete internet in ben 175 Paesi con Cina e Corea del Nord in cima nella produzione di leggi cosiddette liberticide.
Le restrizioni e le censure, stando allo studio, sono sempre più in aumento in tutto il mondo e per chi voglia usare la rete è fatto obbligo affidarsi solo e solamente a programmi o app home made, ovvero fornite dagli Stati nazionali e dai governi. Le restrizioni sono dettate da motivazioni sparse che vanno dal mantenimento dell’ordine politico in funzione anti occidentale, al divieto della diffusione della pornografia online sino a limitazioni di ordine etico e morale. Sullo sfondo di così tante proibizioni risiede il concetto di libertà che solo teoricamente appare diverso se confrontato tra le diverse sfere culturali occidentali e orientali, mentre ha un segno di comune appartenenza pratica nel momento in cui si tratta di mettere mano a censure, limitazioni, controlli, proibizioni. Come ha ben specificato l’antropologo Talal Asad «per la comunità [islamica] ciò che conta è la pratica sociale del soggetto musulmano non i suoi pensieri intimi»; il contrario invece avviene nelle società occidentali nelle quali il potere statale tende a proteggere la libertà pubblica e interviene alla bisogna all’interno della sfera privata. Per l’Occidente secondo Slavoj Zizek «la libertà è sociale: non ha senso se viene vista solo come una convinzione intima, essa deve essere socializzata», tranne, glossando lo scrittore e filosofo sloveno, per la questione social, ambito in cui per una volta oriente e occidente trovano un punto d’accordo.