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BUON PRANZO! – Aspettando il Natale tra antichi ricettaari

Ognuno di noi ha di certo in mente la scena di Alberto Sordi che divora famelico un grosso piatto di maccheroni nel film “Un americano a Roma”.

Guardando l’irresistibile Albertone, tra un sorriso e l’altro, facciamo un rapido ed agile salto (almeno adesso che ancora non ci siamo abbuffati…) nel passato a cercare un po’ di storia riguardo agli spaghetti, chiedendoci chi mai può avere inventato la ricetta della pasta al pomodoro, sicuramente il primo piatto più famoso nel mondo.

Come tutti sappiamo, il pomodoro non apparteneva alla nostra agricoltura, ma fu importato dall’America dopo la scoperta di questo continente. Nella prima metà dell’Ottocento, gli spaghetti erano già diffusi in Italia da diversi secoli, mentre la salsa di pomodoro fu inventata soltanto alcuni decenni prima, più precisamente nel 1762 per mano dall’abate Lazzaro Spallanzani, studioso di scienze naturali, che, nei suoi esperimenti, scoprì che se il pomodoro fosse stato bollito e poi conservato in barattoli chiusi, si sarebbe conservato più a lungo.

L’ Italia, quindi, fu la prima a sperimentare l’uso di condire gli spaghetti con la salsa di pomodoro, dando inizio alla storia infinita di quello che sarebbe diventato un piatto letteralmente “mondiale” e che avrebbe scritto la storia della gastronomia di ogni cultura. Pur se è assai arduo stabilire chi fu il primo in assoluto ad intuire che condire un piatto di spaghetti con il sugo di pomodoro sarebbe stata cosa buona (anzi, buonissima) e giusta, sappiamo che il cuoco romano Francesco Leonardi (autore de “L’ Apicio moderno” alla fine del 1700) fu il primo ad usare abitualmente i pomodori nelle sue ricette, ed è quindi a lui che dobbiamo l’idea di abbinare lo spaghetto alla salsa in questione.

Al di là di questo, non ci sono dubbi riguardo al fatto che colui che introdusse per la prima volta questa ricetta nel suo libro “Cucina teorica-pratica” fu Ippolito Cavalcanti, duca di Buonvicino (1787-1859), nobile napoletano appartenente alla stessa aristocratica famiglia fiorentina di Guido Cavalcanti, poeta del Dolce Stil Novo e amico di Dante Alighieri.

Egli, colto e disinvolto appassionato di gastronomia, si dilettava di cucina e, tra un impegno nobiliare e l’altro, scrisse questo libro che in seguito diventerà talmente celebre da restare come pietra miliare nella storia della letteratura gastronomica italiana.

La pubblicazione contiene principalmente ricette della cucina napoletana, ma anche alcune di tradizione francese poiché essa fu molto presente sulle mense dell’alta aristocrazia e della borghesia dell’epoca del duca. Tra le pietanze di origine napoletana che l’autore descrive, ce ne sono molte che sarebbero divenute, in futuro, il patrimonio della gastronomia nazionale, come il panzerotto, gli spaghetti con le vongole e il baccalà fritto. Sono inoltre presenti nel trattato molti piatti tipici, cucinati nelle ricorrenze principali dell’anno quali Natale, Capodanno, Pasqua.

Il ricettario fu scritto con stile semplice ed immediato ed arricchito da argute e interessanti osservazioni, secondo la migliore tradizione del vivace spirito napoletano. La presenza delle ricette più diffuse nella moderna cucina italiana, rese lo scritto ancor più significativo dal punto di vista storico.  Fu pubblicato nel 1837 e successivamente ampliato in una seconda edizione del 1839 con l’appendice titolata “Cucina casareccia in dialetto napoletano”. Seguirono poi ben dieci edizioni, tutte continuamente aggiornate ed ampliate dall’autore che, almeno in un primo tempo, volle indirizzarle ad un’utenza socialmente elevata, considerato il suo alto livello culturale.

Qui giunti, spero di avere stuzzicato in voi un patriottico, vivace appetito anche se, forse, non ne avevate bisogno…

Buone feste a tutti i nostri lettori!

                                                                   

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24 Dicembre 2024

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