Nei giorni scorsi è stato pubblicato il nuovo rapporti di sintesi dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) dell’ONU, ovvero il principale organo scientifico internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici. I rapporti pubblicati qualche giorno fa non danno nessuna comunicazione aggiuntiva rispetto alle analisi precedenti, di recente passato, bensì funge da riassunto maggiormente fruibile soprattutto per gli esecutivi di tutto il mondo. Il rapporto in questione è il documento conclusivo del Sesto rapporto di valutazione dell’IPCC pubblicato tra il 2021 e il 2022.
Purtroppo i rapporti IPCC non portano buone notizie, bensì un messaggio chiaro e netto: senza tempestivi interventi per arginare il cambiamento climatico causato dalle attività umane al pianeta, le conseguenze potrebbero essere devastanti. Gli esperti hanno anche specificato che effettive iniziative rapide e drastiche possono ancora funzionare, per lo meno per evitare eventi ed esiti catastrofici.
All’interno si trovano anche tematiche già affrontate più volte, come ad esempio evitare entro la prima metà degli anni ‘30 che si verifichi un aumento medio di 1,5°, anche se ormai pare irrealistico in quanto si stima che fino ad oggi le attività umane abbiano portato un aumento medio di almeno 1,1°.
Altro punto ribadito è la necessità di una drastica riduzione dell’uso di combustibili fossili quali carbone, petrolio e metano, per limitare le emissioni di gas serra. Poi ancora il raggiungimento della ‘neutralità carbonica’, ovvero rimuovere una quantità di produzione di gas serra pari a quella che viene immessa nell’atmosfera. Il rapporto pone anche la lente di ingrandimento su alcuni danni concreti che il cambiamento climatico ha portato con sé: moltiplicazione di malattie infettive, frequenza senza precedenti di eventi meteorologici estremi e netta riduzione dei pesci nei mari.
Infine, un dato che sicuramente ha allarmato è quello inerente al numero di morti per condizioni meteo estreme. Il rapporto specifica che negli ultimi 10 anni il numero delle vittime per siccità, nubifragi ed uragani, legati al cambiamento climatico, è stato 15 volte più alto. In tal senso, quasi la metà della popolazione mondiale vive in aree altamente vulnerabili ai cambiamenti climatici, e nemmeno l’Europa può ritenersi più al sicuro. Il Vecchio Continente, con la probabile prospettiva di un innalzamento della temperatura da 1,5° a 3°, rischia che il numero di decessi di persone a rischio di stress da calore possa raddoppiare o triplicare.
Nei documenti viene specificato da Piero Lionello, leading author del capitolo 13 “Europe” e del cross-chapter paper 4 “Mediterraneo”, come vi siano quattro categorie di rischi chiave per l’Europa: ondate di calore su popolazioni ed ecosistemi, siccità per l’attività agricola, scarsità generale delle risorse idriche e maggior frequenza ed intensità di inondazioni. Sul primo punto, oltre al già citato aumento di decessi per stress da calore, altra conseguenza sarebbe la riduzione degli habitat degli ecosistemi terrestri e marini. La siccità e scarsità di risorse idriche impatterebbero ovviamente la produzione agricola di tutto quanto il Vecchio Continente. L’ultimo punto, maggior frequenza ed intensità di inondazioni, sarebbe la conseguenza dell’aumento delle precipitazioni estreme e dell’innalzamento del mare.
In definitiva, il rapporto IPCC dell’ONU è un chiaro allarme che il tempo a disposizione per arginare e risolvere i problemi del cambiamento climatico, causato dall’uomo, è davvero limitato. Non manca nemmeno una critica a quanto si è fatto negli ultimi cinque anni, insufficiente a detta degli esperti, ma permane un bagliore di speranza: «Le opzioni per ridurre le emissioni di gas serra e adattarsi ai cambiamenti climatici causati dall’uomo sono molteplici, fattibili ed efficaci e sono disponibili ora».