L’Addio al 2019 e il Benvenuto al 2020, a Trieste non potevano non essere inglobati in quell’atmosfera fluttuante, fra mistero e analisi scientifica, in cui la mente umana viene posta al centro del Nuovo che si affaccia così come lo è sempre stata nel Passato, sia prossimo che remoto .
Niente di più conforme ad una tale inclinazione, quanto riflesso nel saluto mediato attraverso l’arte visionaria inscenata con l’opera “VALZER PER UN MENTALISTA”; così come portata sul palcoscenico del Teatro Rossetti , ad inaugurarne il programma del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia per l’anno appena entrato.
Secondo quanto delineato dagli autori Davide Calabrese e Fabio Vagnarelli; il dramma di Nemo, giovane privo di memoria ospite del manicomio cittadino nell’anno 1919, si giova della magistrale conduzione del regista Marco Lorenzi verso la ricerca di risposte alle sue stesse riflessioni circa una ricerca della felicità che possa, o no, prescindere dalla ricerca della verità; allo tesso modo della memoria del passato come inscindibile presupposto alla capacità di prefigurare anche un futuro.
Così, lo straordinario “mentalismo” portato in scena da un fantastico Vanni De Luca è un’ alternanza fra mirabolanti capacità emergenti e fantasiose speranze, nonostante il miscuglio di instabilità e timori ancestrali connessi alla mancanza di memoria di se stesso.
Tutto ciò trova un inevitabile contraltare; non solo, nella irreversibilità della malattia mentale nella condizione apparentemente consapevole e disilludente del compagno di degenza Edi; ma anche, nella ostinata abnegazione della dr.ssa Martha Bernard alle prese con la prima sperimentazione psicanalitica, per dimostrarne la validità scientifica attraverso il beneficio che, spera, possa trarne lo smemorato Nemo, suo giovane assistito .
In realtà, i tre personaggi si offrono in un formidabile incastro; essendo, a loro modo, coinvolti e specchiati nello stesso “valzer” psichico.
Con il risultato di uno spettacolo stimolante che, con la originale commistione fra una prosa di alto livello e la contaminazione “magica” dell’illusionismo, convoglia l’attenzione degli spettatori sul comune domandarsi se, prescindendo dalla memoria di una propria identità che abbia radici pregresse, si possa arrivare ad una forma di felicità senza una reale consapevolezza di se stessi ma, piuttosto, sulla finta consistenza dell’apparenza di cui sono fatti i sogni.
Comunque, un inizio 2020 che, per la colta Asburgica Trieste, è pur sempre sull’onda di un Valzer.