La vicenda del tentativo di avvelenamento dell’attivista russo Alexei Anatolievich Navalny, segretario del Partito Democratico del Progresso e presidente della Coalizione Democratica, è quanto mai contorta, e riflette un modus operandi adottato sistematicamente dall’attuale classe dirigente di Mosca, che prescinde il principio della trasparenza. I medici tedeschi sbarcati in Russia in un gelido clima di diffidenza nei confronti dello stato, hanno disposto le modalità per il trasferimento del paziente in una clinica in Germania, dopo un tira e molla durato 24 ore, conclusosi con l’ok del primario russo, per il viaggio sotto completa responsabilità della moglie. L’equipe medica dell’Omsk infatti, si era dimostrata titubante circa la stabilità delle condizioni di Navalny, sconsigliando il trasferimento immediato, a cui al contrario si è preferito optare per aggirare ogni rischio di interferenza delle forze di intelligence nella terapia.
L’entourage del blogger russo, si sarebbe anche mobilitato, riportando il caso innanzi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, per ottenere dalle autorità, l’autorizzazione al suo trasferimento in Germania per le cure. Non sarebbe infatti la prima volta che i servizi russi agiscono impunemente in tal senso, anche al di fuori dei confini nazionali; si pensi ai casi di Alexsandr Litvinenko, ex Kgb avvelenato a morte con il polonio nel novembre del 2006, e di Sergej Skripal, avvelenato assieme alla figlia a Salisbury nel marzo del 2018 con un agente neurotossico, (i due sarebbero scampati perché ricoverati in tempo); stessa sorte è toccata a Piotr Verzilov, fondatore di Mediazone, sito d’opposizione, avvelenato all’uscita di un tribunale di Mosca nel settembre del 2018, trasferito in un ospedale a Berlino dove si è salvato.
Per adesso la dinamica dell’accaduto non è dichiaratamente definita, ma si pensa che ad aver provocato il malore avvertito da Navalny, di una gravità tale da obbligare il personale di bordo ad un atterraggio di emergenza ad Omsk, sarebbe stata una sostanza tossica, rintracciata solo dopo accurate analisi che hanno confutato l’ipotesi di una reazione allergica, probabilmente disciolta nel tè bevuto in aeroporto, come immortalato da alcune immagini. La pista dell’avvelenamento risulta più che plausibile, vista la posizione di Navalny, che tra l’altro si sarebbe trovato in Siberia proprio in vista delle elezioni regionali di settembre, recandosi prima a a Novosibirsk, città in cui il potere amministrativo non è tanto forte e dove serpeggiano malcontento e rivendicazioni sindacali che inquietano il Cremlino e poi a Tomsk, città universitaria dove brulica il consenso all’opposizione.