“Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri”.
Queste parole, attualissime, risalgono addirittura al XVIII secolo, e furono espresse da uno dei più grandi pensatori dell’era moderna: Voltaire.
Un concetto, quello della dignità di coloro che vengono sottoposti dalla legge a privazioni di libertà, che bisogna ribadire con grande forza anche ora che un’ondata di indignazione popolare si è sollevata a causa della scarcerazione del boss Pasquale Zagaria (clan Casalesi), sottoposto al 41bis e a cui sono stati concessi i domiciliari come effetto delle prescrizioni anti-Coronavirus che indicano di sfoltire le presenze nelle carceri facendo scontare la pena altrove. Pasquale Zagaria soffre di una grave patologia, il cui trattamento, allo stato attuale delle cose, non è possibile in carcere, vista l’emergenza sanitaria. Prima di lui, stessa sorte era capitata a Francesco Bonura, uomo di spicco di Provenzano.
Ovviamente, vista la gravità dei reati commessi da Zagaria, si rende necessario effettuare ulteriori accertamenti, e valutare alternative che evitino la sua scarcerazione, come annunciato dal Guardasigilli Bonafede: “Tra le proposte merita maggiore approfondimento quella che mira a coinvolgere la Dna e le Direzioni Distrettuali Antimafia nelle decisioni relative ad istanze di scarcerazione”. Bonafede, d’accordo col Presidente della Commissione Antimafia, Nicola Morra, si è detto pronto ad “intervenire con proposte che verranno inserite nel prossimo decreto legge sulle scarcerazioni per motivi di salute, durante l’emergenza coronavirus, di boss mafiosi”.
È indubbio che si tratta di individui di estrema pericolosità, e che si sono resi colpevoli di crimini abominevoli, ma, in attesa di un’alternativa percorribile, la decisione dei giudici (presa, si ricordi, in perfetta autonomia e sulla quale il legislativo e l’esecutivo non hanno potere alcuno) è assolutamente legittima e, forse, persino doverosa. Il sovraffollamento delle carceri è un problema ormai antico che affligge l’Italia da tantissimo tempo, e le prigioni sono di conseguenza tra i luoghi dove è più complesso far rispettare le misure di sicurezza contro il CoVid. Per ciò, chiunque sia considerabile in pericolo deve essere messo al sicuro. Diversamente, si tratterebbe di una sorta di pena di morte. E alla morte condannano le mafie, non gli Stati civili.
Ad inizio aprile Vincenzo Sucato, 76 anni, che stava scontando la sua condanna per associazione mafiosa, è morto di Coronavirus, a dimostrazione, se fosse ancora necessario, che il problema c’è ed è molto serio.
Dall’altra parte, è assolutamente comprensibile lo sgomento dei magistrati antimafia. Non si deve, però, pensare che esso venga dall’intenzione delle misure adottate dai giudici per certe scarcerazioni (ovvero: proteggere la salute dei detenuti). Lo sgomento dei magistrati antimafia viene dal fatto grave che non si sia riusciti a trovare una soluzione alternativa per decongestionare le carceri e riportarle in una condizione accettabile di sicurezza.
Non sarebbe meglio, ad esempio, amnistiare o almeno concedere i domiciliari ai piccoli spacciatori e a coloro che stanno scontando una pena per l’uso di droga, che sono tra i principali motivi del sovraffollamento? Magari si potrebbe fare di necessità virtù e cogliere la palla al balzo per portare avanti la sacrosanta battaglia della depenalizzazione delle droghe leggere.
Riassumendo, lo Stato non sta facendo “l’amico dei mafiosi” come alcuni hanno provato ad insinuare, e mettere in sicurezza anche i più efferati criminali è un dovere primario di ogni Stato di Diritto. Tuttavia, si potrebbe certamente trovare una soluzione più consona rispetto alla concessione dei domiciliari, e per questo è necessario un imponente intervento legislativo, che si spera arrivi con celerità.