Si suol dire che “ la speranza è l’ultima a morire”. Per il piccolo Charlie è morta prima che lui stesso mettesse le ali.
Non ho la competenza né medica né giuridica per entrare nel merito del complesso iter clinico-giudiziario di questa vicenda, su cui molto è stato già scritto. E’, come spesso accade, restano, però, le angosciose, laceranti domande che moltissimi si sono fatti: perché a Charlie gli è stato impedito di continuare a vivere fino al termine naturale della sua malattia?Perché parlare di “accanimento terapeutico” che prolunga le sofferenze, quando, in molti dichiarano, che è impossibile dimostrarlo “di là da ogni ragionevole dubbio”? Perché combattere con tale accanimento la volontà, l’amore, l’abnegazione dei suoi genitori? Perché chiudere ogni porta, ogni spiraglio, ogni tentativo anche apparentemente inutile per un caso che per la sua rarità e gravità esce da tutti gli schemi precostituiti?
E ancora, perché la decisione non può essere lasciata ai genitori?
La risposta del giudice a queste domande fu enunciata, con i toni inflessibili e gelidi del diritto: “Sebbene ai genitori spetti la responsabilità genitoriale, il controllo prioritario è affidato, per legge, al giudice che esercita il suo giudizio oggettivo e indipendente nel migliore interesse del bambino”.
Per Charlie il tempo era scaduto, ha aspettato con pazienza quella cura, che, sia pure sperimentale, per il complesso iter clinico – giudiziario della vicenda, è andata perduta. Charlie era sordo, cieco e aveva subito danni cerebrali irreversibili a causa della sindrome da deplezione mitocondriale, una rara malattia genetica che provoca l’indebolimento progressivo dei muscoli.
Connie e Chris stretti nella morsa del dolore si chiedono ancora: “Tre o sei mesi fa, le condizioni del loro figliolo non erano quelle dell’ultimo periodo”. La sua era una malattia progressiva, i danni si sono aggravati. Se ci avessero permesso di tentare la cura sperimentale quando lo abbiamo chiesto, a gennaio, forse poteva anche esserci una chance di salvarlo. Anche il professor Michio Hirano, un luminare della neurologia, arrivato dagli Stati Uniti per esaminare di persona il bambino e valutare se era possibile sottoporlo alla terapia sperimentale da lui proposta, ha dovuto ammettere che in quelle condizioni non c’era più nulla da fare.
Era giusto dare ai genitori di Charlie questa chance tre mesi fa o ancora prima?
A loro rimarrà per sempre la convinzione che sarebbe stata la scelta più umana e rispettosa del desiderio di un padre e di una madre.
Ora non sapranno mai se sarebbe servito a qualcosa….