“L’isolamento è la vera piaga del nostro tempo”. (Arendt)
“E’ meglio che io sia in disaccordo con il mondo intero piuttosto che io sia in disaccordo con me stesso”. (Socrate)
“L’uomo è a-politico. La politica nasce tra gli uomini… il singolo nel suo isolamento non è mai libero…la libertà non trae mai origine dall’interiorità dell’uomo, ma dalla situazione che si crea soltanto dove si radunano molte persone”. (Arendt)
“Il politico comincia proprio dove terminano il dominio dei bisogni materiali e quello della violenza fisica”. (Arendt)
In “Che cos’è la politica?” Hannah Arendt sostiene che “la politica si fonda sul dato di fatto della pluralità degli uomini.
Dio ha creato l’uomo, gli uomini sono un prodotto umano, terreno…”.
Ma questa pluralità è già presente dentro di noi, nel dialogo incessante che ciascuno intrattiene con se stesso.
La politica infatti non nasce nell’uomo, ma tra gli uomini.
Concepito in un’epoca postbellica attraversata da gravi problemi – la guerra fredda, il rischio atomico, il maccartismo – questo lavoro ritorna sull’ideale di Arendt di una politica intesa come spazio di autentica libertà, creato e mantenuto fra uomini che sono diversi fra loro ma capaci di riconoscersi e di stare insieme.
Pubblicata dopo la sua morte, attingendo dai suoi archivi, dove furono ritrovati dei testi che dovevano entrare in un saggio di “Introduzione alla politica” che le era stato richiesto nel 1955, pur frammentaria ed incompleta, questa serie di saggi è molto importante perché offre indicazioni fondamentali sulla filosofia politica e sulla visione del mondo di Hannah Arendt, rivelando tutta l’autonomia e l’originalità del suo pensiero.
Riprendendo e sviluppando organicamente le idee già presentate in “Vita activa” e “Tra passato e futuro”, l’autrice si chiede che cosa sia la politica e se essa abbia ancora un senso nel mondo di oggi, partendo da due esperienze fondamentali del XX secolo che hanno oscurato quel senso: la nascita di sistemi totalitari e il fatto che la politica disponga oggi – con la bomba atomica – del mezzo tecnico per estinguere l’umanità, e con essa ogni sorta di politica.
In un suo saggio su Marx del 1953, Arendt aveva chiarito che “il vivere insieme agli altri comincia dal mio vivere con me stesso…”, affermando che “si applicano le stesse regole tanto al mio vivere con gli altri quanto al mio vivere con me stesso”. Data questa premessa, Arendt fissa alcune tesi di fondo, che stanno alla base della sua concezione dell’agire politico: “L’uomo è a-politico. La politica nasce tra gli uomini… il singolo nel suo isolamento non è mai libero…la libertà non trae mai origine dall’interiorità dell’uomo”, ma dalla relazione che si crea quando si radunano molte persone. Infatti, “La politica tratta della convivenza e comunanza dei diversi”.
Ogni atto politico ha il carattere di “un nuovo inizio, che è per sua natura un miracolo”: “Compito e fine della politica è di tutelare la vita, nel senso più ampio del termine. Essa consente al singolo di perseguire con calma e tranquillità i propri scopi, cioè di non essere molestato dalla politica”.
“Le leggi delle società libere indicano solo ciò che non si dovrebbe fare, e mai ciò che si dovrebbe fare”, per cui “il senso della politica è la libertà”. Analizzando le trasformazioni che sono avvenute nell’ambito della sfera politica nell’epoca moderna, Arendt ne evidenzia le degenerazioni ed i gravi rischi che stanno di fronte all’uomo contemporaneo, denunciando “la degenerazione della politica in un mezzo per ottenere un preteso fine superiore”.
Arendt si chiede se la politica abbia ancora senso alla luce di quanto è successo nel XX secolo, quando scrive: “sorge il dubbio se politica e libertà siano compatibili, se la libertà non cominci proprio là dove termina la politica”, nel senso che “oggi nel politico è in gioco la nuda esistenza di tutti”, la sopravvivenza stessa dell’umanità. “Viviamo in una civiltà che minaccia la vita” – afferma – anticipando con lucidità quelle analisi sulla biopolitica che si diffonderanno a partire dalla metà degli anni settanta.
Diventa quindi più che mai necessario chiedersi: “ma quale scopo potrebbe giustificare mezzi capaci di distruggere l’umanità?”. Formulata in termini più radicali, Arendt si pone la domanda: “gli scopi che l’agire politico può perseguire valgono i mezzi che possono eventualmente essere impiegati per raggiungerli?”.
Porre l’umanità in astratto, e la crescita indefinita della sua potenza come l’obiettivo della politica, significa arrivare a considerare irrilevanti, superflui, gli uomini reali, che non a caso nel nostro mondo contano sempre meno, e spesso vengono eliminati senza scrupoli. “L’uomo moderno è diventato sempre più una mera funzione della società”, non un valore in sé, osserva Arendt.
(Continua)