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China currency devaluation sends global exporters reeling

China has fired a powerful salvo in the global currency wars with the biggest devaluation of its currency in two decades, in an effort to shore up a spluttering economy. Beijing’s shock move follows official figures showing a dramatic fall in exports in July – when the performance of China’s manufacturers was the worst it had been in three years.

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Policymakers have also grappled with a stock market collapse which forced widespread state intervention to stem the rout. Car sales have slumped and the world’s second-biggest economy is growing at its slowest rate overall since the depths of the financial crisis in 2009.

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China’s central bank, which has cut interest rates four times since November to spur growth, slashed the value of the currency by 1.9 per cent against the dollar – the biggest one-day move since the mid-1990s – catching markets completely off guard. Although free-floating currencies can move far more, the state-controlled yuan is traded in a narrow band versus the greenback, around a value set by China’s central bank. Moving the marker lower instantly makes Chinese exports cheaper and squeezes a host of multinational giants selling goods to the huge Chinese market – while reducing the risk of politically dangerous manufacturing job losses in the one-party state.

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“China now wants a piece of the action in the global currency wars that have seen serial devaluations around the world since the global financial crisis,” John Hardy, head of forex strategy at Saxo Bank, said. The People’s Bank of China presented the move as a “one-off depreciation” but the intervention comes after leading players including the European Central Bank have embarked on money-printing this year, weakening the euro. The Bank of Japan’s major stimulus last autumn has also depressed the yen.

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But the yuan is heavily influenced by the US dollar, which has been strengthening amid rising expectations that the Federal Reserve will raise interest rates for the first time in almost a decade this year. Swissquote market analyst Arnaud Masset said: “Combined with generally unexpectedly soft economic data, China’s policymakers were required to act decisively. For an economy that remains predominantly export-driven, a weaker currency goes directly to the problem.”

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The prospect of Western goods becoming more expensive to Chinese consumers hit the likes of luxury goods firm Burberry, whose sales to China last year accounted for almost 15 per cent of the firm’s £2.5bn global revenues in the year to March. Its shares slid 4.42 per cent leaving it among the FTSE 100’s worst performers. Other upmarket brands including Hermes and LVMH also suffered, as did a host of German car manufacturers including BMW and Volkswagen, for which China is a key market.

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London’s legion of listed miners and oil companies were put onto the back foot as the fall in the yuan made dollar-denominated commodities more expensive. Brent crude oil also dipped below $50 a barrel. “It’s bad news for oil because China will have to pay more for it,” ING commodities analyst Hamza Khan said. China’s central bank also pledged to give market forces a stronger role in setting the value of the yuan in an attempt to persuade the International Monetary Fund to endorse it as a reserve currency. The IMF has previously seen the lack of market influence on the currency as a reason against granting it reserve status, which would increase its use and boost Beijing’s global clout.

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Mr Hardy added: “Exchange rate liberalisation would help China deepen its capital markets and attract foreign capital flows to help finance China’s enormous debt-financing needs at all levels, private and sovereign.”

cms_2589/italfahne.jpgLa svalutazione della moneta cinese manda gli esportatori mondiali in trattura.

Pechino sbarra il valore dello yuan del due per cento rispetto al dollaro per sostenere le balbuzie nell’economia domestica.

La Cina ha sparato un potente colpo verso le guerre valutarie globali con la più grande svalutazione della sua moneta negli ultimi decenni, nel tentativo di puntellare un’economia a schizzi. La scossa shock di Pechino segue i dati ufficiali che mostrano una drammatica caduta delle esportazioni nel mese di luglio – quando le prestazioni dei produttori cinesi è stato il peggiore degli ultimi tre anni. I responsabili politici si sono inoltre cimentati con il crollo del mercato azionario, che ha costretto l’intervento dello Stato per arginare la rotta. Le vendite di automobili sono crollate e la seconda più grande economia del mondo sta crescendo al ritmo più lento dalla profonda crisi finanziaria nel 2009.

La banca centrale cinese, che ha tagliato i tassi di interesse quattro volte dal novembre per stimolare la crescita, ha ridotto il valore della moneta dell’1,9 per cento nei confronti del dollaro – il più grande movimento in un giorno dalla metà degli anni Novanta – la cattura dei mercati presi completamente alla sprovvista. Anche se le valute free-floating potrebbero muoversi molto di più, lo yuan controllata dallo Stato è scambiato in una banda stretta rispetto al biglietto verde, intorno ad un valore fissato dalla Banca centrale cinese. Spostando il marcatore più basso nell’immediato rende le esportazioni cinesi più competitive e strizza una serie di colossi multinazionali che vendono prodotti per il grande mercato cinese – riducendo il rischio di pericolose perdite di lavoro manifatturiero a livello politico nello stato a partito unico. “La Cina ora vuole un pezzo di azione nelle guerre valutarie globali che hanno visto svalutazioni di serie in tutto il mondo dopo la crisi finanziaria globale”, afferma John Hardy, responsabile delle strategie forex presso la Saxo Bank. La Banca Popolare della Cina ha presentato la mossa come un deprezzamento una tantum, ma l’intervento viene dopo che i protagonisti tra cui la Banca Centrale europea ha avviato la stampa dell’euro, indebolendolo. La Banca di maggiore stimolo lo scorso autunno ha anche svalutato lo yen giapponese. Ma lo yuan è fortemente influenzato dal dollaro statunitense, che è stato rafforzato in mezzo a crescenti aspettative tanto che la Federal Reserve alzerà i tassi di interesse per la prima volta in quasi un decennio quest’anno. Arnauld Masset, analista di mercato per Swissquote ha detto: “In combinazione con i dati economici generalmente inaspettatamente morbidi, i politici cinesi sono tenuti ad agire con decisione. Per un’economia che rimane prevalentemente trainata dalle esportazioni, una valuta più debole va direttamente al problema”. La prospettiva di merci occidentali sempre più costose per i consumatori cinesi, colpito dal calibro delle società di beni di lusso Burberry, le cui vendite in Cina lo scorso anno hanno rappresentato quasi il quindici per cento dei 2,5 miliardi di fatturato globale dell’azienda dell’anno fino a Marzo. Le sue azioni sono scivolate al 4,42 per cento lasciando tra i peggiori del FTSE 100. Altri marchi esclusivi tra cui Hermès e LVMH hanno anche sofferto, così come una serie di case automobilistiche tedesche tra cui BMW e Volkswagen, per le quali la Cina è un mercato chiave. La legione dei minatori di Londra quotate e delle compagnie petrolifere sono state messe sul piede posteriore come la caduta dello yuan ha reso le materie prime quotate in dollari più costose all’acquisto. Brent ha anche ridotto il prezzo del petrolio a 50 dollari al barile. Hamza Khan, analista di INGcommodities ha detto “è una cattiva notizia per il prezzo del petrolio perché la Cina dovrà pagare di più per questo”.

La banca centrale cinese ha anche promesso di dare alle forze di mercato un ruolo più forte nella determinazione del valore dello yuan, nel tentativo di convincere il Fondo Monetario internazionale ad approvarla come valuta di riserva. Il FMI ha già visto la mancanza di influenza del mercato sulla valuta come un motivo per cui è stata concessa la riserva di stato, che aumenterebbe il suo utilizzo per aumentare il peso globale di Pechino.

Hardy ha aggiunto: “la liberalizzazione dei tassi di cambio potrebbe aiutare la Cina ad approfondire i suoi mercati dei capitali e attrarre capitali stranieri per finanziare i flussi enormi di capitale per aiutare a tutti i livelli, il finanziamento dell’enorme debito, sia privato che sovrano”.

(Tradotto dall’articolo “China currency devaluation sends global exporters reeling”, scritto da Russell Lynch, pubblicato su independent.co.uk mercoledì 12 agosto 2015).

Data:

15 Agosto 2015