Per dovere professionale e un po’ per curiosità, in alcune occasioni ho seguito uno di quei programmi televisivi di cucina, in cui gli chef si atteggiano a celebrità e a “maître a penser”, mentre i partecipanti vanno in crisi esistenziale perché non riescono a cuocere un uovo a tegamino. E alla fine mi sono posto la domanda: Quanto, queste trasmissioni TV, nuocciono alla salute mentale del telespettatore e del consumatore? La risposta è semplice: Il messaggio trasmesso da questi show culinari, distorce la realtà non avendo nessun contenuto didattico riguardante il cibo e l’alimentazione.
Per fortuna in Italia e nel mondo, ci sono chef come Peppe Zullo, che hanno preferito, alle luci della ribalta, di stare in trincea nel combattere una complicata “guerra” contro lo spreco, il cibo non di qualità e la cattiva alimentazione; ma chi è Peppe Zullo? Secondo Carlo Petrini, fondatore di Slow Food (Associazione internazionale non profit impegnata a ridare valore al cibo, nel rispetto di chi produce, in armonia con ambienti ed ecosistemi), è “un cuoco contadino che ha saputo restituire alla sua terra l’orgoglio che meritava”; invece per Oscar Farinetti, ideatore di Eataly, è l’ambasciatore dell’eccellenza pugliese nel mondo. Per gli addetti ai lavori, invece, Zullo, attraverso la ricerca della qualità, lo studio della tracciabilità delle materie prime e la produzione ecosostenibile (gran parte dei prodotti utilizzati sono del suo orto e della sua fattoria), è uno straordinario interprete del “cibo” come elemento di culturale e di aggregazione sociale. “Cibo semplice per gente intelligente”, questo è il motivo conduttore della sua trentennale esperienza che si traduce nel messaggio “Dalla terra alla tavola”. Tant’è che la sua azienda, oltre ad avere delle sale per ristorazione, orti, vigneti, allevamenti e alberi da frutto, decisivi nel fare della sua cucina un esempio di gusto, qualità e autenticità, comprende una scuola di cucina frequentata da chef provenienti da ogni parte del mondo. Lo chef di Orsara, però, non è solo questo; infatti, da buon comunicatore e grazie alla sua continua sperimentazione nell’offrire un’alternativa culinaria raffinata e qualitativamente ecosostenibile, da diversi anni organizza presso la sua sede operativa, “Villa Jamele”, un convegno cui partecipano: imprenditori e manager del settore alimentare, chef italiani e stranieri, medici nutrizionisti, e giornalisti provenienti da ogni parte del mondo.
E in occasione dell’annuale appuntamento, tenutosi domenica 9 ottobre a Orsara di Puglia, Peppe Zullo ha detto: “Non voglio parlare di cosa ci aspetta il domani, ma di come possiamo contribuire, insieme e ciascuno per la propria parte, a comprendere quali siano le azioni virtuose e le buone pratiche utili a costruire un presente e un avvenire in cui il cibo sia per tutti l’elemento di uno stile di vita corretto, sano, gustoso, primo ingrediente per il diritto alla felicità”. I relatori, invece, hanno cercato di innescare un dibattito partendo da alcuni quesiti: Esiste un cibo per il futuro? Quanto è diverso dal cibo del presente? Può esistere innovazione senza tradizione? Alcuni spunti di riflessione, sono venuti da Giacomo Mojoli, co-fondatore di “Slow Food” e docente al Politecnico di Milano: “Il mangiar sano parte dalle buone abitudini della famiglia nella quotidianità. Mangiar sano, oggi, significa partire dalle materie prime, dalla provenienza e rintracciabilità dei prodotti. Il cibo deve essere buono da mangiare e buono da pensare; inoltre, bisogna contaminare le conoscenze spingendo il mondo dell’agricoltura e dell’alimentazione a confrontarsi con altre realtà, rendendo eccezionale la normalità e facendo in modo che il cibo sia, anche, elemento di cultura e d’informazione”. Di spessore più scientifico, invece, è stato l’intervento del famoso nutrizionista sportivo, Domenico Meleleo, Pediatra e consigliere della Società Italiana Nutrizione Sport e Benessere (SINSeB): “Essendo pediatra e nutrizionista, ho la possibilità di seguire il “futuro” dei giovani, perché vedo tutti i giorni bambini e sportivi di alto livello. Ovviamente riguardo al “cibo del futuro”, il mio punto di vista è prettamente di natura medica, anche se qui, oggi, mi piace definirmi un “coltivatore del benessere”, poiché seguo i bambini sin da piccoli per poi vederli crescere. E’ come se fossi un agricoltore che coltiva la terra e vede crescere i suoi frutti”. Riguardo allo studio e alla ricerca medico-scientifica, Meleleo aggiunge: “Negli ultimi anni, tra noi medici spesso discutiamo di Epigenetica (Branca della biologia molecolare che studia le mutazioni genetiche e la trasmissione di caratteri ereditari non attribuibili direttamente alla sequenza del DNA). Il cibo di oggi, già influenza il futuro, e noi abbiamo una responsabilità enorme perché stiamo influenzando, soprattutto attraverso la cattiva alimentazione, la salute delle prossime generazioni. Mojoli diceva che bisogna “rendere eccezionale la normalità”. Ecco: per me normalità, significa far giocare i bambini, e soprattutto gli adulti, a riconoscere i sapori e il cibo di qualità, senza dimenticare l’esercizio fisico”. In sintesi entrambi i relatori concordano sul fatto di ricercare l’innovazione partendo dalla semplicità, purché si tenga conto di fattori importanti come: competenza, esperienza, informazione e utilizzo di materie prime di qualità. E noi tutti dovremmo augurarci che mangiare non deve essere solo un fatto fine a se stesso, con il solo scopo di riempirsi la pancia; bensì ritorni a essere prettamente un momento di unione socio-culturale e del saper vivere in modo sano, apprezzando i piaceri della buona cucina mediterranea nel pieno rispetto dell’ambiente.