Il cielo ci affascina, quante volte lo osserviamo solo per ammirarlo o per constatare le condizioni metereologiche, anche se mi è capitato di fidarmi di ciò che mi diceva il cellulare e di prendere così un acquazzone improvviso, non segnalato dai vari satelliti, se avessi osservato il cielo mi sarei accorta da che parte andavano le nubi… se le nuvole vanno alla montagna, prendi gli arnesi e va’ a casa, se vanno al mare prendi la zappa e vai a zappare, un proverbio che seguivo e non mi deludeva.
Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, questo incipit leopardiano riassume ciò che si chiede l’uomo dal tempo dei tempi, ammirando e osservando i cieli notturni, misteriosi, bui come inchiostro e trapuntati di stelle, con la falce o il cerchio lunare.
L’osso di Abri- circa 30.000 anni fa
Un aneddoto che ci ha tramandato Platone racconta che Talete, mentre studiava le stelle col viso rivolto al cielo, cadde in un pozzo, senza soffermarmi sulla saggezza di questa testa per aria, la storiella conferma il grande interesse dell’uomo nei confronti del cielo stellato che è iniziato molto, molto tempo prima di Talete.
La notte, allora, era perfettamente buia, ancora un centinaio di anni fa, avremmo visto il cielo come gli antichi e provato un senso di magia e di sacralità, oggi oltre a tutti gli inquinamenti che ci sono, abbiamo anche quello luminoso, un altro effetto collaterale della civiltà industriale.
Non è solo questione di visione spettacolare o fumosa e annebbiata, l’inquinamento luminoso ha conseguenze ambientali per l’uomo e per la fauna selvatica, cambiandone i bioritmi… forse a che fare anche con gli animali selvatici che arrivano in città, come i cinghiali ad esempio, forse scambiano il giorno con la notte, finendo poi per disorientarsi.
Particolare della Sala dei Tori presso le grotte di Lascaux -Francia- circa 15.000 anni fa
Nel paleolitico l’uomo osservava il cielo ed utilizzava ossa o piccole pietre, per tenere il conteggio delle fasi lunari: una placca ossea di circa 30.000 anni fa, ritrovata ad Abri Blanchard in Dordogna (Francia), ha una serie di segni intagliati che l’archeologo statunitense Alexander Marshack, dopo un meticoloso lavoro col microscopio ha riconosciuto come il periodo delle fasi lunari.
Alcuni degli studiosi dell’Università di Edimburgo hanno ipotizzato che i disegni delle grotte rupestri rappresentino una conoscenza avanzata dell’astronomia; siamo a circa 15.000 anni fa e gli animali potrebbero rappresentare le costellazioni nel cielo notturno, un computo di animali-simbolo per contrassegnare eventi come il passaggio di una cometa, meteoriti o altri eventi disastrosi: un rinoceronte e un cavallo come rappresentazioni delle costellazioni del Toro e del Leone… e i puntini sui bovini di Lascaux potrebbero indicare ammassi di stelle di determinate costellazioni, altri segnare fasi lunari e altri cicli che forse non conosciamo
Soffitto della tomba di Nefertari- Valle delle Regine- XIII sec. a.C.
Ma il vero interesse per i cieli stellati sorse prepotente col Neolitico, quando l’uomo diventa stanziale e agricoltore.
La produzione agricola portava numerosi vantaggi e le informazioni sul regime dei corsi d’acqua, il freddo e il caldo, la pioggia, il sole, la caduta delle foglie, il periodo migliore per seminare, quello per raccogliere, era basilare e presto si saranno accorti che avvenivano più o meno regolarmente e l’uomo avrà capito che il cielo girava con la terra.
Il cielo all’uomo sarà apparso divino e immenso, la regolarità del Sole qualcosa di sacro e la luna sua compagna altrettanto costante, nera luna nuova, falce a destra crescente, falce a sinistra calante e poi piena, le stelle pure avranno avuto i loro influssi: gli abitanti della terra, luogo d’inferno, dovevano cercare di comprendere le divini stelle e ingraziarsele… forse uomini arcaici ma conoscevano ben prima di noi l’agricoltura biodinamica.
Dettaglio del soffitto astronomico nella tomba di Seti I nella Valle dei Re a Tebe Ovest- XIII secolo a.C.
Con lo studio delle stelle si sono orientati, hanno scoperto nuovi luoghi e individuato una specie di calendario. Seguendo il moto apparente del Sole, moto che, probabilmente, per i neolitici doveva apparire reale, è nato anche lo scorrere del tempo… gli anni, i mesi, i giorni, le ore.
Gli Egiziani, osservavano la levata eliaca di una certa stella, cioè poco prima che la sua visibilità scomparisse al sorgere della luce preponderante del Sole; ogni stella è in levata eliaca in un periodo ben preciso e da questo avranno calcolato mappe astronomiche a noi sconosciute.
La tomba della regina Nefertari (1295-1255 a.C.), moglie del faraone egizio Ramses II, presso la Valle delle Regine, è un edificio ipogeo con un ricco ciclo pittorico che rappresenta il viaggio di Nefertari nell’aldilà in seguito alla sua morte. La regina si presenta al cospetto di diverse divinità che la prendono per mano e la conducono al termine del suo viaggio, tutto il soffitto è un intero cielo stellato di un intenso blu scuro, la morte era vista come un viaggio verso il cielo, dove chi aveva il cuore uguale o più leggero della piuma di Maat giungeva fra le divinità nel cielo.
Sirio e Orione -Tempio di Hathor – Particolare del soffitto astronomico- Dendera – Luxor.
Le antiche tombe egizie mostrano una propensione per la stella a cinque punte, come si può vedere nelle immagini della tomba di Nefertiti e di Seti. Questa simbologia perdura anche in epoca tolemaica e romana, come si nota dalla raffigurazione del soffitto astronomico nella sala ipostila esterna, presso il Tempio di Hathor di Dendera a Luxor. Rappresenta Sirio, nelle sembianze di una mucca, su una barca e Orione sull’altra che navigano nel cielo trapunto di stelle e di altre presenze.
Se gli egizi preferivano la stella a cinque punte, chiamata anche pentagramma, con attorno un bel po’ di esoterismo, i greci inventarono gli asterischi, il simbolo più semplice per disegnare una stella; l’asterisco, quelli che apponiamo per memorizzare o sottolineare significa infatti ‘stellina’.
Nel corso dell’arte greca non si ritrovano grandi cieli stellati, qualche frammento fittile mostra qualche stella a sedici raggi, che accompagna Fosforo dio greco personificazione della luce del mattino che diverrà poi Lucifero. Alcuni vasi raffigurano Achille blasonato con stelle/asterisco a o bracci, che ricordano tanto la stella argeade, quella di Alessandro Magno, d’altronde quest’ultimo si vantava e si proponeva come discendente dell’eroe omerico.
Achille in armatura-Particolare da un kantharos a figure rosse- da Vulci- V secolo-Louvre
Ma forse il cielo notturno più bello sia per qualità artistica e poetica, sia perché è la più antica rappresentazione concreta di fenomeni astronomici, datato dagli archeologi al 1800-1600 a.C., ritrovato nel 1999, vicino a Nebra in Germania, inserito, nel 2013, nel Registro della Memoria del Mondo dell’UNESCO e definito uno dei più importanti reperti archeologici del XX secolo… è il Disco di Nebra.
Il disco di Nebra- 1800-1600 a. C.
È un disco di bronzo di circa 30 centimetri e di 2 chili di peso, intarsiato con simboli d’oro interpretati come il sole o la luna piena, una falce lunare e le stelle, tra cui l’ammasso delle Pleiadi, nel gruppo delle sette stelle in cerchio, due archi (manca quello a destra di cui resta l’impronta) interpretati come l’alba e il tramonto durante i solstizi e un arco in basso con linee interne, che viene interpretato come una barca solare o un arcobaleno o l’aurora boreale. Nel disco di Nebra alla rappresentazione reale del cielo, sono legati i culti religiosi dell’uomo antico: il sole, la luna, la barca solare, le Pleiadi, i solstizi, una sensibilità artistica e una ricerca scientifica non disgiunta da un credo religioso.
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Le puntate precedenti al link:
https://www.internationalwebpost.org/contents/CIELI_STELLATI_-_(I%5E_PARTE)_28760.html#.Y6iAfnbMKUm
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