Il Paraguay, piccolo paese agricolo del Sudamerica, va alle urne in un’elezione generale che impatta anche sulla geopolitica continentale e internazionale.
Gli elettori in questo paese di poco meno di 7 milioni di persone dovranno scegliere tra l’economista quarantaquattrenne Santiago Pena, che rappresenta il Partito conservatore in carica del Colorado, che ha monopolizzato il potere dall’indipendenza, e il veterano economista-politico, l’ex senatore Efrain Alegre, che guida un’ampia coalizione di centrosinistra. Per i paraguaiani i problemi principali sono la difficile situazione economica e la corruzione dilagante. Lo scorso anno il disavanzo di bilancio è stato pari al 3% del PIL, la crescita media annua negli ultimi quattro anni è scesa allo 0,7% e la povertà estrema è aumentata. In effetti, per più di 30 anni, il Colorado Party ha quasi sempre garantito la vittoria, ma ora i sondaggi dicono che potrebbe essere il momento di cambiare e spingere gli elettori verso la coalizione di centrosinistra.
Pena e Alegre si sono impegnati a non aumentare le tasse, anche se il Paraguay è uno dei Paesi con il minor ingresso di capitali esteri e con un carico fiscale più basso del Sud America, a tutto vantaggio dei più ricchi della società. Nelle ultime settimane, comunque, il dibattito politico interno si è concentrato sull’opportunità di porre fine alle relazioni diplomatiche di lunga data con Taiwan a favore della Cina. Una fuga di documenti riservati, infatti, rivela le principali preoccupazioni degli Stati Uniti sull’influenza russa e cinese in America Latina, a cominciare dal Paraguay. In effetti, le elezioni saranno seguite da vicino non solo a Washington ma anche a Pechino e Taipei. Se Alegre vince, ha suggerito che potrebbe trasferire le relazioni diplomatiche da Taiwan alla Cina, il che significa che l’isola autogovernata perderebbe il suo ultimo pilastro in Sud America. Il Paraguay è il più grande dei 13 paesi che ancora riconoscono l’isola.
Il candidato alla presidenza ritiene che Taiwan non abbia investito abbastanza nel Paraguay per compensare l’enorme costo di non fare affari con la Cina. Anche il destino dell’ex presidente Fernando Lugo, l’unico presidente non del Colorado dall’inizio della democratizzazione nel 1989, è da decifrare (con ancora un ruolo in politica da ridefinire, ma che probabilmente ci sarà, visto che i paraguayani sono restii ad abbandonare un animo conservatore), essendo il fautore di uno stato che ha interrotto un promettente processo di profonda trasformazione verso il futuro. La situazione che si sta delineando in Paraguay, che normalmente dovrebbe interessare solo il paese in questione – nel più classico dei “i panni sporchi si lavano in casa” –, dimostra come ormai i destini di più popoli ormai possano intrecciarsi in trame sempre più complesse e dai risvolti che nessuno può prevedere.