Riprendendo un passaggio del libro “Il Giorno della Memoria spiegato ai miei nipoti” di Lia Levi: “Ricordare non basta, il ricordo non resta lì per sempre. A volte ci si emoziona per un attimo e poi tutto vola via.
Perché resti, questo è il punto, il ricordo si deve trasformare in memoria.
Memoria è quando i ricordi sono diventati mattoncini del nostro oggi.
Noi siamo qui e rappresentiamo il presente, lo sappiamo, ma senza il passato non avremmo senso, saremmo una scatola vuota”.
Nelle pieghe di un dialogo attivo, fatto di domande e riflessioni, l’autrice intreccia le date della Storia, ripercorre la sua infanzia segnata dalle Leggi Razziali e dall’occupazione nazista.
Ma lo fa in modo speciale, rivolgendosi ai suoi nipoti e a tutti i giovani lettori che negli anni ha incontrato nelle scuole d’Italia, dove con la sua testimonianza, ha portato un messaggio di impegno civile e di speranza.
Nella giornata internazionale della Memoria indetta dall’Assemblea generale dell’Onu nel 2005 per ricordare la Shoah, cioè lo sterminio del popolo ebraico e dei deportati nei campi nazisti (già introdotta in Italia con la Legge n. 211 del 20/07/2000) e individuata nel 27 gennaio di ogni anno, giorno in cui nel 1945 l’Armata Rossa liberò il campo di concentramento di Auschwitz, è doveroso favorire un confronto tra generazioni su una delle pagine più buie della storia umana.
E’ necessario progettare, soprattutto nel mondo della scuola e della comunità educante allargata, momenti di riflessione anche con nuovi linguaggi per coinvolgere bambine, bambini, ragazze e ragazzi attorno ai temi dell’Olocausto, delle deportazioni, delle discriminazioni e della diversità che hanno segnato quel periodo e che ancora oggi devono essere ricordati, elaborati e discussi, per affrontare con maggiore consapevolezza le insidie del presente.
Non è sempre facile trovare le parole giuste ma senza retorica e paternalismo si può partire adeguando le proposte, alle possibilità di comprensione e di empatia degli allievi, che sono variabili in funzione dell’età e della maturità psicologica. Evitando la rappresentazione realistica dell’orrore, è auspicabile privilegiare le rappresentazioni mediate, offerte da monumenti, musei, testi letterari, opere d’arte.
Prendendo spunto dalle pagine di letteratura tematica, si favorisce lo sviluppo di somiglianze e differenze con i perseguitati di allora: in questo ambito possono concretizzarsi dei processi di identificazione e a questo scopo si possono usare le storie delle vicende di bambini, quali quelle raccontate da Judith Kerr o di ragazzi, per quegli aspetti meno angosciosi e più comprensibili: ad esempio, il dover celare la propria identità, il dover trovare un rifugio per nascondersi, l’essere costretti a lasciare la propria casa e affrontare delle fughe un po’ avventurose.
Durante la conversazione è interessante far riflettere le nuove generazioni su qualche aspetto della discriminazione: quella che è sempre in agguato in qualsiasi gruppo nei confronti dei diversi o in generale del gruppo estraneo, ed ha luogo facilmente anche nei gruppi di bambini piccoli, oltreché di ragazzi.
Un racconto commovente e delicato, “Il Violino di Auschwitz”, offre una straordinaria chiave di lettura, ripercorrendo la storia di Eva Maria, una ragazza ebrea brillante e appassionata di musica.
Dopo un viaggio interminabile arrivò nel campo di concentramento, lontana dai suoi affetti e dalle sue cose, le rimarrà solo il suo violino, da cui non si separerà a nessun costo. Sarà proprio questo strumento, dopo un lungo silenzio, a dar voce alla lenta discesa di Cicci verso l’inferno del campo di concentramento e una volta ritrovato in un negozio di antiquariato, si scoprì conteneva un biglietto arrotolato con un messaggio segreto che una volta decifrato così recitava: ” Il potere della musica è più forte della crudeltà di un campo di sterminio”.
Attualmente quel violino si trova ad Auschwitz, ha varcato i cancelli del campo dove arrivavano i treni della morte e una violinista lo fa rivivere attraverso le note nostalgiche e struggenti del “Cigno” di Saint – Saens, brano che Eva Maria amava tanto.