(DeuroFocus da AdnKronos) Clima temporalesco nel settore europeo dell’automotive. L’apertura di una possibile guerra commerciale con la Cina racconta della difficoltà degli storici marchi europei nel reggere la competizione cinese. Poi si profila la seconda, imprevedibile presidenza di Donald Trump alla guida di un altro Paese che ha investito massicciamente sulle tecnologie verdi. Sul fronte interno, invece, le vendite Ue sono in calo, diverse fabbriche a rischio chiusura. E alcune aziende alla frontiera della rivoluzione elettrica, quelle che dovrebbero trainare il settore nel futuro, sono a rischio bancarotta: il governo svedese sta considerando di sostenere il gigante delle batterie Northvolt, che guarda al rischio bancarotta dopo non aver trovato abbastanza finanziamenti.
“Gli annunci di chiusure di stabilimenti a cui stiamo assistendo non hanno a che fare con il processo di elettrificazione, ma sono dovuti in generale a un tema di debolezza della domanda europea, al mercato cinese diventato più complicato per i player Ue e alla crescita dei costi di produzione”. Il rischio che vede Francesco Naso, segretario generale di Motus-E (l’associazione italiana di riferimento per la mobilità elettrica) e membro del cda di Avere (l’equivalente europeo), è che l’Ue si impantani in discussioni sterili mentre il resto del mondo accelera.
Ovviamente è difficile valutare a caldo i riflessi delle elezioni Usa sull’industria della mobilità elettrica, spiega Naso a Eurofocus. Anche se non si può certo ignorare il ruolo centrale che sembra profilarsi per una figura come Elon Musk nella squadra di Trump, che l’ha definito un super genio” nel discorso di vittoria. “Di certo c’è che oltreoceano stiano comprendendo in modo piuttosto trasversale la portata di questa enorme transizione tecnologica”. Tant’è che circa il 70% delle risorse dell’Inflation Reduction Act, varato da Joe Biden per fare degli Usa una superpotenza dell’auto elettrica, sono stati spesi in Stati a guida repubblicana, sottolinea l’esperto.
“Guardando sia a est che a ovest sembra quindi sempre più urgente che l’Europa si doti di una vera politica industriale per accelerare sull’elettrificazione, e garantire così a un settore fondamentale come l’automotive la possibilità di poter continuare a competere nel mondo ai massimi livelli.” Per Eurofocus Naso ha tratteggiato una panoramica delle sfide da affrontare e delle soluzioni in campo. A partire dall’industria italiana.
La zappa e il piede
In questo contesto, il taglio di 4,6 miliardi di euro al Fondo automotive (circa l’80% del totale) in finanziaria ha scosso gli addetti ai lavori come un fulmine a ciel sereno. Per Naso si tratta di “un messaggio estremamente negativo” per le prospettive dell’industria italiana. Il settore e le istituzioni sono perfettamente consci del bisogno di trasformare la filiera, ma ancora una volta l’Italia, pecora nera della spinta all’elettrico, ha deciso di andare in controtendenza rispetto agli altri Paesi europei, con Francia, Germania e Spagna che adottano misure di segno opposto.
Per ora sembra tutto fermo. L’ultima serie di incentivi è stata annunciata dal Mimit a novembre 2023 e attivata a giugno 2024; quelli per le auto elettriche si sono esauriti in appena 9 ore. Ad agosto il ministero aveva annunciato un nuovo ecobonus programmatico, calibrato per favorire la pianificazione degli acquisti delle famiglie e degli investimenti dell’industria. Giovedì, invece, il ministro Adolfo Urso ha detto che è “finito il tempo dei bonus”. Di fronte a tutti questi annunci e contro-annunci, chiosa Naso, è inevitabile che imprese e consumatori rimangano spiazzati, rinviando investimenti e decisioni di acquisto. “In assenza di un contesto leggibile non c’è da stupirsi se il mercato delle auto elettriche in Italia continuerà a essere fortemente compromesso”.
L’incertezza è un freno per l’intero settore europeo, specialmente per quanto riguarda la transizione verso l’elettrificazione. Per Naso, parlare di “neutralità tecnologica” è controproducente in un mercato che indica un trend “ineludibile”. Il futuro, spiega, sarà dominato dai veicoli elettrici leggeri “con ampi margini di miglioramento tecnologico.” Alternative come e-fuel e biocarburanti saranno “utilissimi” per decarbonizzare i settori hard to abate come il trasporto pesante, quello marittimo e quello aereo, sottolinea Naso; ma in un contesto di transizione globale, dove l’intervento pubblico è cruciale, “occorre concentrare le risorse sulle tecnologie migliori per ciascun ambito di applicazione, senza disperderle”.
Preso atto della direzione, si tratta di accelerare. Nello specifico, puntando a favorire la produzione di veicoli elettrici a prezzi abbordabili sotto ai 25 mila euro, “cosa che di fatto sta già avvenendo e di cui si inizieranno a vedere presto i risultati sul mercato”. I player europei dovrebbero puntare su soluzioni in grado di abbracciare nuove composizioni tipi di batterie (come litio-manganese-ferro-fosfato), più contenute nella capacità ma anche nei consumi e nei costi. “Abbiamo visto da vari confronti che puntare su un’autonomia dai 300 ai 600 km, in base ai contesti di utilizzo, è la via corretta, purché all’occorrenza si possa ricaricare in poco tempo”.
Scala e competitività
Il vero banco di prova per l’industria Ue sarà la capacità di sviluppare soluzioni tecnologiche totalmente “made in Europe”. L’ esempio che fa l’esperto è la condivisione di piattaforme modulari tra vari produttori, funzionali a rafforzare le economie di scala. Con investimenti nel settore che nel 2023 hanno superato i 130 miliardi di euro e un raddoppio previsto al 2030, l’Europa non parte certo da zero. Ma i capitali da soli non bastano: serve una politica industriale più strutturata.
La ricetta per il successo è nota: favorire le economie di scala e abbattere i costi attraverso la produzione di massa. Passando anche per l’integrazione verticale, dalla ricerca alla produzione, in modo che le catene del valore rimangano europee. Perché, come ricorda Naso, la soluzione non è certo costruire fabbriche “cacciavite” che assemblano prodotti esteri in loco ma non portano valore aggiunto. Dunque serve puntare sull’attrazione di know-how e professionalità specializzate, rendendo al contempo l’industria europea più attraente.
Europa a prova di futuro
Gli statunitensi, che con i 320 miliardi di dollari stanziati nella filiera cleantech potrebbero riuscire a costruire batterie meno care di quelle cinesi, lo hanno dimostrato: non esiste una sfida insormontabile. Ne consegue che l’Ue deve mettere le sue capitali in grado di compiere sforzi simili. Soprattutto, per non finire schiacciati tra giganti come Cina e Stati Uniti, evitare la concorrenza fra Paesi e raggiungere la scala necessaria, serve che “l’Europa faccia l’Europa” con una politica industriale comunitaria e decisa.
I fattori abilitanti secondo Naso: riforma agli aiuti di Stato, armonizzazione dei vari regolamenti (per evitare la dispersione degli investimenti di ricerca e sviluppo in mille direzioni), abbattimento dei costi dell’energia. Ma anche politica estera coordinata e dedicata alla cooperazione con Paesi che hanno materiali critici: un’ipotesi “non peregrina” è un centro d’acquisto europeo in sintonia con la politica estera, suggerisce l’esperto.
E l’Italia?
Sul piano industriale, la rete di componentistica italiana rimane forte e relativamente “invariante” visto che in molti casi produce componenti validi anche per i produttori di auto elettriche. Ma deve essere accompagnata in questa transizione per coglierne il valore e scongiurare qualsiasi perdita di competitività, puntualizza Naso. Per quanto riguarda le reti di ricarica, l’industria italiana può fare leva su due campioni globali nel settore dell’alta potenza “che andrebbero sostenuti per farli rimanere leader nel mercato”. Il Belpaese è anche particolarmente competitivo per quanto riguarda la produzione di macchinari industriali usati nei processi di produzione. Ma servono indicazioni chiare e coerenti perché “l’incertezza non aiuta nessuno dei nostri player”.