Abbiamo trovato , su una vecchia rivista, un articolo con lo stesso titolo…noi aggiungiamo qualche commento da cui si possa valutare se in 15 anni qualcosa è cambiato.
La crisi dei rifiuti indifferenziati a Roma, con discussioni infinite tra riciclare e bruciare, è solo la punta dell’iceberg di un problema ben più grande: la convenienza economica per le imprese della creazione di spazzatura.
Si tratta di una questione che ci coinvolge direttamente: ciascuno di noi non solo produce circa 540 kg di rifiuti ogni anno, ma li paga. E prima come parte della merce, e dopo come materiale da smaltire. Ridurre questa produzione annua dovrebbe diventare imperativo non solo per evitare che l’interesse privato e il disinteresse pubblico creino situazioni dannose per la salute, ma soprattutto per ridurre i consumi di materie prime non rinnovabili e farne abbassare il prezzo, che troppo spesso i poveri del pianeta non possono permettersi.
James Lovelock, autore di diversi libri sull’ecologia, ha immaginato la Terra come un essere vivente, battezzandolo Gaia: il deteriorarsi di una sua parte può dare inizio ad una reazione a catena che finisce con l’ucciderlo completamente.
Ecco quindi alcuni consigli. Ma mentre i consigli della rivista sono “buonisti” e “politicamente corretti” (vale a dire che non vogliono scontentare nessuno, il che salvo eccezioni li rende politicamente superflui) i nostri commenti cercano di essere realistici.
Raccolta differenziata porta a porta
La raccolta differenziata non riduce il numero di rifiuti, ma ne aiuta lo smaltimento e ne facilita il riciclo. Per renderla davvero efficace si dovrebbe risolvere la mancanza di apposite strutture nell’area circostante alla raccolta, causata dalla cosiddetta sindrome di Ninby ( not in my backyard – non nel mio giardino) che spinge le amministrazioni ad allontanare gli impianti o a trasportare all’estero la spazzatura emettendo cospicue quantità di gas serra.
Un meccanismo del genere deve poter beneficiare di una serie di centri di riciclaggio posizionati strategicamente nelle vicinanze. Oltre a ciò è necessaria la collaborazione di tutti. Solo raccogliendo i rifiuti porta a porta ed istituendo degli incentivi ad hoc per i cittadini si può infatti sperare di ottenere dei risultati apprezzabili.
Il meccanismo più potente per attivare la raccolta differenziata è “pagare” il materiale raccolto e ben differenziato un tanto al kg. Esiste già chi lo fa: chi vive a Roma sa benissimo che esiste un “popolo” di raccoglitori di immondizia che, girando con un carrellino a ruote e un bastone con un lungo gancio, verificano tutti i cassonetti recuperando quanto può essere interessante da vendere (rame, vestiti, oggetti in buono stato)!
E’ una realtà economica che coinvolge centinaia, forse migliaia, di persone nella sola Roma e che sfugge, come tante altre, alle statistiche economiche ufficiali. Come sfuggono da decenni le migliaia di stranieri che in Italia presidiano, quando non c’è il titolare ufficiale, tutti i distributori di carburante self-service.
Niente imballaggi
La Grande Distribuzione Organizzata, in sigla GDO, non potrebbe esistere senza gli imballaggi. In Italia nel 2011 ne venivano prodotte come rifiuto circa 12 milioni di tonnellate (212 kg annui a testa), nel 2022 circa 15 milioni. Ogni tipo di cibo o bibita è impacchettato e il costo del trattamento rifiuti ricade direttamente sui contribuenti. La soluzione potrebbe essere quella di evitare le merci preconfezionate, utilizzare contenitori durevoli ed eliminare completamente il package nella vendita al dettaglio di certi articoli che per le loro dimensioni o caratteristiche possono essere trasportati ugualmente.
Le merci preconfezionate convengono al venditore (il costo di vendita diminuisce, poiché non è richiesto il commesso che pesa, taglia e incarta) e al compratore (gli imballaggi sono molto robusti, e consentono di ammucchiare la spesa alla rinfusa senza tema di vedere schiacciare o rompere il contenuto).
Contenitori durevoli non convengono né al venditore (costano di più) né al compratore (occorre trasportarli da casa, ed essendo durevoli pesano anche di più). Per ridurre i contenitori occorre disincentivarne l’acquisto, rendendoli costosi per all’acquirente e per il venditore.
Per scoraggiare l’acquirente all’uso dei contenitori usa-e-getta sarebbe sufficiente aggiungere un deposito (2-10 euro); il cui valore sarà “stampato” sul contenitore stesso.
Contenitore che sarà riacquistato allo stesso prezzo da appositi negozi.
Addio Tetrapak e Pet
Il Tetrapak è un poliaccoppiato di plastica, alluminio e carta. In Italia ne vennero prodotti nel 2011 circa 5 miliardi di pezzi, di cui solo il 17% viene riciclato. Il Pet invece è il tipo di plastica usato per le bottiglie e ogni anno se ne devono smaltire all’incirca 200.000 tonnellate al costo di 1 milione di tonnellate di emissioni nocive.
Distribuire i liquidi alla spina e dotarsi di appositi contenitori come borracce, brocche e thermos, potrebbe rivelarsi determinante.
Dove questa soluzione è stata adottata, funziona solo se il risparmio sul contenitore è sufficientemente alto da rendere l’acquirente sensibile.
Anche qui, una accisa di 2-10 euro al kg sarebbe determinante.
Se si vuole evitare l’obbligo di ritiro per i negozi, è sufficiente incassare i proventi di una accisa adeguata sui contenitori, reimpiegandoli per pagare chi li consegna presso centri di raccolta comunali appositi. Si creerebbe un “mercato” del ritiro, e la differenziazione sarebbe possibile.
La soluzione radicale è evitare i materiali poliaccoppiati per cui sia difficile la separazione tra i materiali.
Basta lattine
Dobbiamo dire addio alla lattina ghiacciata in mano davanti alla tv. Il costo di questo piacere è davvero enorme, infatti ogni anno in Italia ne vengono buttate oltre 1 miliardo e mezzo.
A ciò si deve sommare il costo del riciclaggio dell’alluminio in termini di dispendio energetico e produzione di gas serra. Anche in questo caso, sostituire le lattine con il vetro o servire le bevande alla spina potrebbe costituire un vero passo in avanti.
Questo tipo di suggerimenti è sempre diffuso da chi è molto giovane e non ricorda che qualche decennio fa le bibite in lattina non esistevano.
E forse non vede che moltissime bibite sono in vendita “anche” in bottiglie di vetro. Se la lattina ha dilagato è perché , sia per il venditore che per il compratore, è più economica, robusta e leggera.
Per compensare questi vantaggi, occorre renderle economicamente sconveniente, quindi farla costare di più. Ad esempio introducendo una accisa sulle lattine. Perché si deve trasformare quello che oggi è un rifiuto in qualcosa che abbia anche un valore economico.
Un sindaco di un Comune del Lazio aveva un problema: il gran numero di bombole del gas arrugginite abbandonate nelle campagne e nei fossi. Soluzione: alzò la cauzione-deposito a 50 euro! Non solo nessuno buttò più una bombola vuota, ma ci fu gente che andò a recuperare quelle abbandonate per rivenderle. A volte il mercato funziona ed è utile crearne uno!
Abolire le stoviglie di plastica
Bisognerebbe proibire l’utilizzo delle stoviglie in plastica usa e getta da tutte le mense scolastiche, statali o aziendali. Questo potrà avvenire soltanto se le aziende appaltatrici dei servizi di ristorazione verranno incoraggiate adeguatamente dalle amministrazioni locali a adottare materiali riutilizzabili non usa e getta.
Le aziende appaltatrici non vanno “incoraggiate”, ma obbligate! Va richiesto dalle amministrazioni locali, in sede di capitolato d’appalto, che le posate siano di acciaio.
Ovviamente l’appaltatore, dovendo attivare e gestire un servizio di pulizia delle posate, chiederà di più!
In alternativa, anche qui è sufficiente far alzare talmente il prezzo delle posate di plastica (una bella accisa anche qui!) da scoraggiarne l’acquisto. Più alto il prezzo, minore il consumo.
Beni usati
I beni usati, come gli abiti o gli strumenti elettronici, costituiscono una grossa percentuale dei rifiuti che ogni anno devono essere smaltiti. I primi potrebbero essere donati ad associazioni di beneficenza, i secondi invece, in molti casi, possono essere restituiti ai negozi in cui si acquista un nuovo bene poiché il rivenditore è obbligato a smaltire il vecchio. In certi casi, come quello di computer di qualche anno fa, si potrebbe abbattere ulteriormente la barriera imposta dal digital divide che separa ancora molti dal mondo del Web.
Questa proposta, molto diffusa sui media, è frutto del “buonismo” fantasioso! Se gli abiti non vengono più donati è perché le associazioni di beneficenza non sono disponibili sotto casa, e inoltre pretendono (!) capi puliti e in buone condizioni; e (quasi) nessuno è così buono da aggiustare, pulire , piegare e consegnare un capo di abbigliamento usato.
E i negozi ritirano l’apparato elettronico usato solo se se ne acquista un altro di costo tale da compensare il ritiro di quello guasto. Anche in questi casi la “vera” soluzione è creare valore sul rifiuto, riconoscendo un pagamento per chi consegni il capo di vestiario o elettronico all’ammasso!
Occorre eliminare lo stesso concetto di “rifiuto”
In Natura non esistono rifiuti, tutto viene reimpiegato e trasformato. La materia biologica vien ingerita come cibo e trasformata dai batteri. I minerali, grazie ai meccanismi della tettonica a zolle, sono compressi, riscaldati e trasformati in altri minerali. L’Homo Sapiens, che inventa cicli non previsti in precedenza dalla Natura, deve preoccuparsi di realizzare cicli sostitutivi completi, che prevedano come in Natura il riciclaggio o il reimpiego.
Quindi ogni oggetto non più impiegato, e non reimpiegabile, non deve essere gettato via come un rifiuto bensì considerato materia prima per l’avvio di un nuovo ciclo. Così come esiste una organizzazione per la fabbricazione, la distribuzione e la vendita di oggetti, che si finanzia con i ricavi della vendita, così occorre che esista una organizzazione per la raccolta differenziata, lo smontaggio, la separazione e il ritiro.
Per alcuni materiali, come ad esempio gli olii usati e la carta, già esiste. Ma solo una percentuale eventuale di questi materiali viene riciclata. Considerando inevitabile una dispersione dell’ambiente di materiali, ad esempio quando dal tappo gocciola olio sulla strada, una robusta percentuale non viene recuperata semplicemente per incuria, trascuratezza, poca educazione, scarsa intelligenza. Una percentuale enorme degli oggetti in polimeri dispersi nei mari proviene dall’incuria di chi li ha abbandonati ovunque; le acque piovane hanno poi provveduto a trasportarli al più vicino fiume, che li ha trasportati al mare.
E sono stati abbandonati solo perché considerati di valore nullo o scarso. Invece ciò che ha un valore adeguato viene, quando possibile, recuperato.
Consideriamo il caso del rame, che ha un valore di mercato intorno ai 10 euro al kilogrammo; venti kg di rame al giorno garantiscono un salario lordo di 200 euro. Anche per questi i frugatori nell’immondizia sono attenti a raccogliere anche tutti i cavi elettrici che trovano. Purtroppo esiste l’effetto indesiderato dei furti di rame direttamente da impianti non protetti e non presidiati. Come si può immaginare, tutti i lampioni che illuminano il GRA di Roma ricevono energia elettrica tramite cavi, un tempo di rame. Perché un tempo? Perché un bel giorno un autocarro arrivò ai tombini dove questi cavi di rame passavano, e letteralmente li strappò fuori dai tubi, danneggiando anche gli impianti. I furti si sono ripetuti, finché l’ANAS non decise di sostituire i cavi di rame con cavi di alluminio; ma l’alluminio è un conduttore elettrico peggiore del rame, e quindi su fili dello stesso diametro può passare una corrente minore, a pari condizioni. La soluzione? Usare luci a Led, che hanno un consumo di energia elettrica a parità di lumen molto minore delle precedenti lampade ai vapori di sodio.
Si dovrebbe quindi aggiungere al prezzo di ogni oggetto, o materia prima, una accisa il cui ricavato consenta di acquistare i cosiddetti “rifiuti” a un prezzo che ne stimoli la raccolta e ne consenta il riciclaggio.
Occorre però semplificare la vita il più possibile a coloro che dovrebbero conferire detti rifiuti. Soluzioni complicate hanno l’effetto opposto: in alcuni Comuni d’Italia si sono inventati il badge per aprire i cassonetti, badge che andava richiesto al Comune. Il risultato è stato quello prevedibile? Molti non sono andati a chiedere il badge, e i rifiuti abbandonati all’esterno dei cassonetti sono raddoppiati.
Il Comune ha reagito aumentando i controlli vicino ai cassonetti, e sono aumentati i rifiuti abbandonati lontano.
La soluzione deve essere quindi semplice, in tutti gli aspetti, ed economicamente conveniente.
Da pronto, quanto esperto,
ha colto il punto Alberto:
laddove non guadagno
il buon trova ristagno
né crescerà l’azione
nella complicazione.