26° anniversario di Via d’Amelio, le domande di Fiammetta Borsellino

La Corte d’Assise: “Uno dei più gravi depistaggi della giustizia italiana

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Ancora al 26esimo anniversario da quell’esplosivo ’92, noto tragicamente per le stragi di Capaci (23 maggio, in cui persero la vita il magistrato Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta), e di Via d’Amelio (19 luglio, le cui vittime furono il giudice Paolo Borsellino e altri cinque agenti), rimangono irrisolti infiniti interrogativi, le cui risposte sarebbero occultate dal segreto di Stato. Pare che tutta questa enorme vicenda, che grava sulla coscienza del nostro Paese, sia sospesa su un uso spropositato di condizionali: “Se le autorità avessero messo in atto le misure necessarie per proteggere il giudice Borsellino evitando che la strage si ripetesse a soli 57 giorni da Capaci; se i pm di Caltanissetta avessero convocato il giudice in quel lasso di tempo; e, soprattutto, se quella famosa agenda rossa non fosse andata dispersa…”. É probabile che, in qualunque caso, non sarebbe stato possibile evitare l’inevitabilità di ciò di cui li stessi Falcone e Borsellino erano coscienti, un’amara consapevolezza che li ha resi martiri della giustizia e della verità, ma è anche vero che questa ipotesi non può valere da attenuante alle colpe dello Stato, che pare ancora una volta essersi sporcato le mani, come in un’altra vicenda che ci sentiamo costretti a citare considerando la coincidenza con il suo 40° anniversario: la questione Moro. Non è plausibile che uno Stato si sottragga al dovere morale da una parte di proteggere coloro i quali lavorano per lui in nome della legalità e dall’altra, per lo meno alla luce dei fatti accaduti, di porre chiarezza, di fare giustizia e sì, anche di ammettere le proprie responsabilità. Che significa, infatti, porre la vicenda sotto l’etichetta di “segreto di Stato”? Perché uno Stato democratico dovrebbe avere segreti, dovrebbe voler occultare la verità? Non è questo uno sberleffo nei confronti di chi nella dura lotta per la ricerca di quella stessa verità ci ha rimesso la vita?

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È questo che oggi tutti noi ci chiediamo ed è questo quello che in primis si chiede la figlia del magistrato Paolo Borsellino, Fiammetta Borsellino, ricevuta dalla commissione antimafia dell’Ars a Palazzo dei Normanni, dove, facendo riferimento alla sentenza emessa dai giudici della Corte d’Assise di Caltanissetta sull’ultimo procedimento legato alla strage di Via d’Amelio - in cui si dichiarava che le prime indagini sull’omicidio di Borsellino rappresentano “uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana” - afferma: “Le motivazione del Borsellino quater hanno avvalorato quanto sapevamo sui depistaggi cominciati a partire dal ’92. Io racconto fatti, mi riferisco a dati contenuti nelle carte processuali. Le mienon sono opinioni. I nomi non li faccio io, ma sono negli atti. Se la procura di Caltanissetta e i magistrati del tempo hanno fatto male, è giusto che rendano conto del loro operato”. Riportiamo di seguito le domande clou della signora Borsellino rivolte direttamente allo Stato, con l’auspicio che presto ci possano essere fornite delle risposte esaustive che facciano chiarezza e stiano a indicare che la lotta per la legalità è una lotta univoca, per cui nessuno deve rimanere solo in questo percorso:

“1. Perché le autorità locali e nazionali preposte alla sicurezza non misero in atto tutte le misure necessarie per proteggere mio padre, che dopo la morte di Falcone era diventato l’obiettivo numero uno di Cosa nostra?
2. Perché per una strage di così ampia portata fu prescelta una procura composta da magistrati che non avevano competenze in ambito di mafia?

3. Perché via D’Amelio, la scena della strage, non fu preservata consentendo così la sottrazione dell’agenda rossa di mio padre? E perché l’ex pm allora parlamentare Giuseppe Ayala, fra i primi a vedere la borsa, ha fornito versioni contraddittorie su quei momenti?

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4. Perché i pm di Caltanissetta non ritennero mai di interrogare il procuratore capo di Palermo Pietro Giammanco, che non aveva informato mio padre della nota del Ros sul ‘tritolo arrivato in città’ e gli aveva pure negato il coordinamento delle indagini su Palermo, cosa che concesse solo il giorno della strage, con una telefonata alle 7 del mattino?

5. Perché nei 57 giorni fra Capaci e via D’Amelio, i pm di Caltanissetta non convocarono mai mio padre, che aveva detto pubblicamente di avere cose importanti da riferire?

6. Cosa c’è ancora negli archivi del vecchio Sisde, il servizio segreto, sul falso pentito Scarantino (indicato dall’intelligence come vicino ad esponenti mafiosi) e sul suo suggeritore, l’ex capo della squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera?

7. Perché i pm di Caltanissetta non depositarono nel primo processo il confronto fatto tre mesi prima fra il falso pentito Scarantino e i veri collaboratori di giustizia (Cancemi, Di Matteo e La Barbera) che lo smentivano? Il confronto fu depositato due anni più tardi, nel 1997, solo dopo una battaglia dei difensori degli imputati.

8. Perché i pm di Caltanissetta furono accomodanti con le continue ritrattazioni di Scarantino e non fecero mai il confronto tra i falsi pentiti dell’inchiesta (Scarantino, Candura e Andriotta), dai cui interrogatori si evinceva un progressivo aggiustamento delle dichiarazioni, in modo da farle convergere verso l’unica versione?
9. Perché la pm Ilda Boccassini (che partecipò alle prime indagini, fra il giugno e l’ottobre 1994), firmataria insieme al pm Sajeva di due durissime lettere nelle quali prendeva le distanze dai colleghi che continuavano a credere a Scarantino, autorizzò la polizia a fare dieci colloqui investigativi con Scarantino dopo l’inizio della sua collaborazione con la giustizia?

10. Perché non fu mai fatto un verbale del sopralluogo della polizia con Scarantino nel garage dove diceva di aver rubato la 126 poi trasformata in autobomba? Perché i pm non ne fecero mai richiesta? E perché nessun magistrato ritenne di presenziare al sopralluogo?

11. Chi è davvero responsabile dei verbali con a margine delle annotazioni a penna consegnati dall’ispettore Mattei a Scarantino? Il poliziotto ha dichiarato che l’unico scopo era quello di aiutarlo a ripassare: com’è possibile che fino alla Cassazione i giudici abbiano ritenuto plausibile questa giustificazione?
12. Il 26 luglio 1995 Scarantino ritrattava le sue dichiarazioni con un’intervista a Studio Aperto. Prima ancora che l’intervista andasse in onda, i pm Palma e Petralia annunciavano già alle agenzie di stampa la ritrattazione della ritrattazione di Scarantino, anticipando il contenuto del verbale fatto quella sera col falso pentito. Come facevano a prevederlo?

13. Perché Scarantino non venne affidato al servizio centrale di protezione, ma al gruppo diretto da La Barbera, senza alcuna richiesta e autorizzazione da parte della magistratura competente?”.

Federica Scippa

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