8 marzo, Giornata internazionale dei diritti della donna
Piazze piene per una lotta mai terminata

Come ogni anno anche quest’anno per la ricorrenza della giornata internazionale dei diritti della donna, nelle piazze di tutto il mondo la popolazione femminile si è confluita per dare voce alle disuguaglianze che ancora oggi in molti ambienti si ritrova ad affrontare. Una delle risposte più forti al richiamo della mobilitazione generale per le femministe di tutto il mondo arriva dalla Spagna, dove il movimento pro diritti delle donne conduce una lotta sistematica e filtrante, volta a sensibilizzare e soprattutto ad educare al rispetto già i membri più giovani della comunità, futuri cittadini attivi. Pioniera nella lotta contro i femminicidi, oggi la Spagna si è fatta esempio di una cittadinanza attiva e costruttiva, come testimoniano le strade gremite di gente in 250 centri in una domenica all’insegna del viola. La storia ci insegna che ci sono voluti secoli di lotte e rivendicazioni al femminile per mettere in atto un processo di generalizzazione del riconoscimento formale dei diritti umani, che fosse inclusivo tra le altre categorie tradizionalmente escluse, di quella delle donne.
Fin dagli albori delle conquiste lente e graduali nell’ambito dei diritti umani infatti, seppur rimangano emblematiche la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino stilata in Francia nel 1789 o la Dichiarazione Americana dei diritti fondamentali del 1793, la concezione universalista degli stessi, si è a lungo trovata in contrasto con un preambolo che designando ad esempio la proprietà come un diritto sacro e inviolabile, attribuiva un valore strumentale ai diritti politici che si vedevano per la prima volta riconosciuti e che risultavano volti a garantire ai proprietari il diritto il disporre e proteggere i propri beni, e soprattutto sottintendeva come titolare di tali diritti fondamentali un prototipo di individuo astratto, l’uomo bianco,sano,libero, proprietario o per lo meno indipendente economicamente; prototipo che se trasferito nella realtà lasciava escluse intere categorie: i lavoratori dipendenti che vendevano il proprio lavoro in cambio di un salario, le donne, subordinate nel contesto di una società patriarcale e restrittiva agli uomini di casa, e all’epoca, soprattutto in ambito statunitense, la popolazione nativa e afroamericana. Il successivo processo di generalizzazione dei diritti sociali, che parte dall’assunzione della coscienza che l’uomo non è un essere autosufficiente, ma è vincolato agli altri esseri umani in quanto ciascuno potrebbe trovarsi in una situazione di vulnerabilità in un certo momento della vita, ha naturalmente coinvolto in quanto parte in causa tra le categorie inizialmente discriminate, quella femminile, e ancora posteriormente, il processo di specificazione dei diritti umani la cui determinazione e garanzia è stata più puntualmente affermata da apposite convenzioni, per le categorie citate,tra cui le donne, fanno trasparire il fatto che già di partenza essere membro del genere femminile equivale a vivere una situazione di svantaggio, di vulnerabilità tale da necessitare misure specifiche a sostegno di ciò che dovrebbe essere invece dato per assodato.
Anche oggi, seppur sembra esserci “concessa” l’uguaglianza con l’altro sesso, spesso questa la si ottiene solo omologandosi al modello dominante maschile, soccombendo a scelte inconcepibili. Ancora è lunga e tortuosa quindi la lotta per la fruizione concreta e ugualitaria dei diritti e delle libertà inalienabili, considerando che lo scorso anno il rapporto Eures, riporta un incremento dello 0.7% sul numero delle vittime per femminicidio; per lo meno però, l’assunzione di coscienza dell’importanza alla partecipazione alla rivendicazione della realizzazione di questi diritti, è un passo fondamentale che permette ad ogni donna di non sentirsi sola nelle lotte che affronta ogni giorno.
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