ABBRACCIARE L’ESTREMO LIMITE

Quando si vede un uomo soffrire, si vorrebbe in qualche modo poter contribuire ad alleggerire il suo dolore, si vorrebbe poter diventare per quella persona balsamo di consolazione. Ma il più delle volte di fronte alla sofferenza e, soprattutto, dinnanzi alla morte ci si scopre assolutamente fragili, impotenti, vinti, soli, indifesi.
Sappiamo bene che la morte ci attende come ineluttabile traguardo: eppure giunge sempre precoce, imprevedibile.
E il dolore incide dentro, inesorabilmente, il proprio sigillo. Il silenzio diventa parola: la parola più efficace dinnanzi al mistero della prova e della estrema separazione. E la vita, assieme alla morte, appare ancor più un mistero.
Tante domande, mille “perché” si affacciano nel cuore di quanti, pur assetati di luce e di vita, si trovano ad abitare il paese della polvere, e resta sempre estremamente difficile rispondere.
Persino Dio appare, a questo punto, impotente, lontano, inefficace. Il credente si appella a promesse che appaiono, nei fatti, disattese: non trova parole adeguate per spiegare, per rispondere. Dinnanzi alla ”impotenza” del suo Dio, l’uomo di fede confessa il proprio imbarazzo. Guardandosi confuso, smarrito, s’interroga: “Dove sei, Signore della Vita? Dov’eri, Dio, quando il dolore e la morte bussarono alla mia porta?”.
Nel silenzio si ode ancora il grido del Figlio dell’Uomo appeso al legno della prova estrema e del sacrificio totale: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?”
Un pesante macigno, alla fine, coprì quel sepolcro, raccolse il corpo annientato dell’Uomo della croce e nascose, in fondo, la sconfitta di Dio, l’Onnipotente; la morte del Maestro fu vista da molti testimoni, ma la sua risurrezione avvenne nella notte.
Per tutti rimase il sepolcro vuoto.
Credere significa fidarsi senza vedere, consegnarsi senza certezze. Può far paura pensare che tutta la salvezza appaia una incredibile raccolta di sconfitte. Mosè non riuscì ad abitare la Terra Promessa, dopo che aveva guidato il suo popolo nel nome del Dio dell’Alleanza: la vide solo da lontano; e perfino il Figlio dell’Onnipotente, il Maestro buono che aveva percorso le strade della Galilea, offrendo a tutti doni di amore e di speranza, era stato rifiutato, ucciso, sepolto.
“Se Cristo non è risuscitato, - scrive però l’apostolo Paolo – allora il nostro annuncio è vano, e vana la nostra fede. Se infatti i morti non risuscitano, neanche Cristo è risuscitato. Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini”.(Cf.1 Corinzi 15,12-20)
Il nostro futuro, dunque, è indissolubilmente legato a quello dell’Uomo della Croce, che ha pianto dinnanzi alla morte dell’amico Lazzaro, e ha sudato sangue di fronte alla propria paura di morire.
Il mistero della Pasqua, da un lato, ci mette inesorabilmente davanti alla croce, ad un corpo spezzato: la sconfitta di Dio; dall’altro, ci mostra anche un sepolcro vuoto: il trionfo della Vita.
La pesante pietra della nostra impotenza dinnanzi al dolore e alla morte è stata ribaltata via e il Maestro che credevamo ci fosse stato nascosto per sempre dal custode del giardino (Cf. Giovanni 20:15-16) sta proprio dinnanzi a noi, con un corpo segnato dalla passione, e ci chiama per nome. Essere chiamati significa: essere amati, essere aspettati, essere apprezzati. Anche quando ci sentiamo rottami umani, siamo invece preziosi agli occhi suoi. Cristo continua a scommettere su di noi. Tenacemente. Pur conoscendo cosa c’è nel cuore dell’uomo, Egli sa che abbiamo un potenziale di amore inespresso.
“Dentro di me c’è una sorgente molto profonda. E in quella sorgente – scrisse Etty Hillesum, ad Auschwitz, in una delle pagine del suo Diario - c’è Dio. A volte riesco a raggiungerla, più sovente essa è coperta di pietre e sabbia: allora Dio è sepolto. Allora bisogna dissotterrarlo di nuovo”.
Non è facile capire. Ma tu “Padrone della vita e della morte – dicono le parole di un canto sardo – consola con amore chi resta a vivere afflitto dal dolore” e perdonaci, Signore amante della Vita, se non abbiamo ancora capito che è la morte l’ingresso al tuo palazzo.
L’annuncio cristiano è essenzialmente pasquale.
La Pasqua è la gioia della vita raggiunta per il tunnel della morte, non più muro invalicabile, ma corridoio attraversabile. Il cristianesimo, testimonianza della risurrezione, è dunque positività. Il momento negativo è solo provvisorio. Tutta la vita è un continuo passaggio, crescita e trasformazione inarrestabile fondata sul “sì” alla speranza e sul coraggio di ricominciare.
Sempre.
(Servizio fotografico realizzato da Marina Tarozzi)
Lascia un commento
NB: I commenti vengono approvati dalla redazione e in seguito pubblicati sul giornale, la tua email non verrà pubblicata.