AIDS: TUTTE LE NOVITA’ IN FATTO DI TRATTAMENTI E PREVENZIONE

Ottimi risultati ottenuti con le cure antiretrovirali. Si auspica una svolta entro il 2030

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Al quinto posto nella classifica delle principali cause di mortalità nel mondo, l’Aids (sindrome da immunodeficienza acquisita) continua a mietere almeno 1 milione di vittime ogni anno, costringendo circa 36,7 milioni di persone a combattere giornalmente contro il virus dell’Hiv. A pagare lo scotto più alto sono i Paesi del Terzo Mondo che, secondo le statistiche, ospiterebbero almeno il 90% dei sieropositivi. Anche in America ed Europa, sebbene l’incidenza del virus risulti notevolmente arginata negli ultimi anni, il pericolo non è ancora del tutto scampato. Ma la scienza non demorde, continuando ad alimentare le speranze di tutti coloro che convivono con questa patologia: gli ultimi aggiornamenti - giunti direttamente dal congresso Ias (International Aids Society), tuttora in corso a Parigi – parlano di un terzo soggetto al mondo in cui l’infezione sembra essere regredita senza l’uso continuativo di farmaci, in seguito a una tempestiva terapia antiretrovirale. Si tratta di una bambina sudafricana di 9 anni che, contagiata dalla madre al momento del parto, fu sottoposta a una cura di dieci mesi quando aveva solo nove settimane di vita, seguendo un protocollo alternativo. Il dato sorprendente sta nel fatto che, pur non essendosi sottoposta a ulteriori trattamenti oltre alla precoce terapia antiretrovirale, nel sangue della piccola sembra non esserci più traccia del virus. O meglio: non si può affermare che quest’ultimo risulti completamente debellato all’interno del suo organismo, piuttosto che abbia raggiunto uno stadio “silente”, in cui si registra l’assenza dei sintomi tipici; inoltre, la probabilità di trasmissione del virus verso altri esseri umani risulta essere davvero minima, se non nulla. E’ come se, grazie all’iniziale combinazione di tre farmaci in grado di inibire la replicazione del virus, quest’ultimo avesse realmente fatto “un passo indietro”, regredendo nella sua destabilizzante potenza. Una piacevole e duratura conseguenza che, se indotta in tutti i soggetti colpiti da Hiv, condurrebbe di certo a un notevole miglioramento delle loro condizioni di vita, permettendo di controllare e “dominare” la malattia nel lungo termine.

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Come già accennato, tale riscontro era stato ottenuto solamente in altri due casi al mondo: nel 2010, una bimba statunitense (soprannominata “Mississippi baby”) era stata sottoposta a cure antiretrovirali a sole 30 ore dal parto, riuscendo ad arginare il virus per soli 27 mesi, mentre tutt’oggi un 20enne francese, che aveva interrotto i trattamenti all’età di 6 anni, continua a non manifestare i sintomi della malattia. Entrambi, però, pare presentassero caratteristiche genetiche particolari, che consentivano al loro organismo di gestire la malattia in maniera più proficua. Ciò non sussiste nel quadro clinico della piccola sudafricana, il che lo rende un caso davvero emblematico nella lotta contro l’Aids. "La bimba non presenta alcuna mutazione in grado di conferirle una resistenza naturale all’infezione da Hiv. Dunque, la remissione sembrerebbe essere legata al trattamento precoce” ha spiegato infatti Anthony Fauci, direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases. “Non crediamo che la terapia antiretrovirale da sola possa portare alla remissione - ha precisato in un’intervista alla Bbc Avy Violari, responsabile della ricerca pediatrica alla Perinatal Hiv Research Unit di Johannesburg – In realtà, non conosciamo l’esatto motivo per cui questa bambina abbia ottenuto la remissione, ma crediamo sia legata alla genetica o al sistema immunitario”.

cms_6807/3.jpgQuali le prospettive per il futuro? “Saranno necessari ulteriori studi per scoprire come si possa indurre una remissione a lungo termine dell’Hiv nei bimbi infetti. Questo nuovo caso rafforza comunque le nostre speranze affinché, trattando i piccoli sieropositivi per un breve periodo nell’infanzia, si possa evitare loro il peso di una terapia lunga tutta la vita e le conseguenze dell’attivazione immunitaria tipicamente associata con l’Aids” ha concluso Fauci.

Gli studi di Johannesburg, orientati verso la cura di soggetti già sieropositivi, non sono gli unici attualmente in corso: si stanno portando avanti importanti ricerche anche sul fronte della prevenzione e della diagnosi precoce, tanto da poter auspicare la diffusione dei primi vaccini anti-Aids in meno di vent’anni. “Probabilmente non vedremo la fine dell’Hiv, ma avremo gli strumenti per ridurre il 95-100% dei casi di Aids e malaria. Saranno messi a punto nei prossimi 15 anni – dichiarava due anni fa Bill Gates, in un intervento nel corso del Forum Economico Mondiale di Davos - Quando raggiungeremo la regione a più alta densità di contagio nel mondo, il numero di casi inizierà a calare in tutto il pianeta per la prima volta dalla scoperta della malattia”. Nel gennaio del 2000, il magnate americano ha fondato insieme a sua moglie la Bill & Melinda Gates Foundation, un’associazione attiva nella prevenzione e nella distribuzione di farmaci nei Paesi più colpiti dal virus dell’Hiv, in particolare quelli dell’Africa subsahariana. Con un pizzico di fortuna e una buona dose di perizia scientifica da parte dei ricercatori, i cospicui finanziamenti concessi da questa e da altre società potranno certamente condurre a risposte significative anche prima del 2030, in attesa del definitivo scacco matto alla “peste del XX secolo”.

Federica Marocchino

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