ALASDAIR MACINTYRE, O L’ETICA DELLA VIRTU’ (I^ parte)

L’opinione del filosofo

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cms_27276/1_alasdair-macintyre.jpgAlasdair MacIntyre e la critica del liberalismo

Nella critica di MacIntyre al liberalismo c’e’ la sua negazione di basarsi su una concezione del bene. In “Giustizia e razionalità” MacIntyre legge il liberalismo come una tra le molte tradizioni sociali e di ricerca che presentano concezioni rivali del bene. La società liberale è fondata su due principi incompatibili, secondo i quali “ogni individuo è inteso sia come qualcuno impegnato nel perseguimento dei propri interessi personali, qualunque essi siano, sia come qualcuno che corrispondentemente richiede protezione da coloro similmente impegnati”.

Molti tentativi sono stati fatti, all’interno della tradizione liberale, per fornire giustificazioni a diversi metodi distributivi, appellandosi a principi incompatibili tra loro - come l’utilità o il dovere -, o di definire il significato della società politica, a volte giungendo a conclusioni divergenti anche partendo dalle medesime premesse.

cms_27276/2_1661394248.jpgL’inconcludenza del dibattito su che cosa sia socialmente giusto non è un carattere contingente, essa è piuttosto un carattere strutturale del liberalismo, il quale “è una serie di accordi a essere in disaccordo”(a set of agreements to disagree).

Ciò che tutti i teorici liberali sono concordi nel rifiutare è una concezione dell’essere umano “come partecipante per sua natura a forme di comunità orientate a un singolo bene”. Si tratta delle concezioni che fanno capo a Platone, Aristotele, Tommaso.

Il problema è che proprio negando questa base, i teorici liberali sono impossibilitati a dare risposta a cosa sia giusto. Se il giusto è una forma del bene, o quanto meno ciò che preserva il bene, allora è impossibile determinare cosa sia giusto se si nega la possibilità di comprendere cosa è bene per l’uomo.

Mentre il liberalismo considera bene la vita che gli individui conducono all’interno del suo ordinamento sociale, perseguendo fini diversi e anche incompatibili, la pratica del bene comune è impegnato a risolvere questo conflitto di principi, ma l’inconcludenza del dibattito si manifesta a ogni tentativo. Si potrebbe allora dire che il liberalismo non può risolvere i suoi conflitti perché manca di una concezione di bene.

Per chiarire la questione si distingue il “bene”, con la minuscola dal “Bene” con la maiuscola. Il liberalismo ha una concezione del primo, ma non del secondo. In base al primo i teorici liberali sostengono che sia “bene” che ciascuno possa seguire le proprie aspirazioni, i propri piani di vita, i quali, secondo certi standard esterni, potranno essere anche immorali, ma finché non violano le regole della giustizia, devono essere tutti accettati. La giustizia presupposta da questa concezione non implica nulla a livello sociale, ma sostiene semplicemente che nessuno deve interferire con l’altro nel perseguimento dei propri scopi.

cms_27276/3.jpgQuesta concezione debole di “bene” è compatibile con il fiorire di divergenti e incompatibili idee di cosa sia “Bene”. Con il termine maiuscolo, si indica ciò che è considerato adatto allo sviluppo della vita buona per l’uomo, nel senso aristotelico del termine. In una società liberale, potranno convivere coloro che ritengono che il perseguimento dell’interesse privato sia il “bene”, con coloro che ritengono che questo sia individuabile dal calcolo sociale volto a determinare la maggiore utilità per il maggior numero, con coloro che sostengono che il “Bene” sia l’azione disinteressata, compiuta unicamente per rispetto al dovere morale, quelli che identificano il “Bene” in una vita appartata, lontana dagli affanni politici e quelli che lo identificano con la partecipazione politica, ecc.

Mentre la concezione di “Bene” è alla base di quella della giustizia, se non esiste nessun principio per stabilire quale concezione di “Bene” sia quella corretta, non esiste nessun principio per stabilire in che cosa debba consistere la giustizia sociale. Il fatto che il dibattito sia interminabile e che nessuna concezione sostanziale di “Bene” prevalga, per un liberale non è affatto un problema. Anzi, Un “vero” liberale valuterà positivamente questi aspetti: i contenuti della giustizia sociale non possono essere derivati da una concezione di “Bene”, ma devono essere determinati dalla preferenza espressa dalla maggioranza.

Tuttavia, questa tesi può essere sostenuta al massimo da un politico liberale e non da un filosofo liberale. Ogni filosofo è infatti impegnato a sostenere la verità delle sue tesi, ma questo non è certo il caso di Rawls o Nozick, né di Locke, né di Kant, né di tanti altri filosofi liberali. Ma se la critica di MacIntyre si è mossa su un terreno puramente filosofico, sarà sul medesimo campo che i liberali dovranno rispondere.

Ma, se il liberalismo come tradizione di ricerca ha fallito, che conseguenze ha per la politica il fallimento filosofico del liberalismo? Innanzitutto, se la politica liberale ha la sua unica fonte di legittimità nella volontà popolare, questo significa che la politica ha una base interamente relativistica. Per quanto riguarda il relativismo, MacIntyre osserva che esso implica la cancellazione della distinzione tra rapporti manipolativi e non manipolativi.

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La nostra vita politica e sociale, invece di essere caratterizzata da un dibattito razionale, è basata su un agonismo sofistico che inevitabilmente riduce la giustizia al volere del più forte. L’aggettivo “sofistico” rimanda ai Sofisti greci, il che ci ricorda come questi problemi della democrazia fossero già perfettamente chiari nell’antichità. Per renderci conto di cosa tutto questo implichi, sarà sufficiente allora leggere Platone in cui, anziché essere determinata dal volere della maggioranza, la direzione della politica e della giustizia sociale è determinata da un gruppo ristretto.

Questo non significa che se ogni cittadino credesse alla verità e agisse di conseguenza, i mali del mondo scomparirebbero. Piuttosto, ciò che si vuol sostenere è che l’ordinamento politico e sociale in cui viviamo non ha alcuna legittimità, se non per coloro che ritengono la politica dei Sofisti il miglior modo per condurre la società in cui vivono. Questo ci impone di ripensare le forme della nostra convivenza, i beni che perseguiamo quotidianamente, il nostro modo di intendere la politica, in direzione di un cambiamento radicale. A questo scopo la filosofia aiuta a chiarire i termini della questione.

La volontà popolare

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Secondo MacIntyre, la giustificazione politica sulla base della volontà popolare non è che un’ideologia, il cui carattere di falsa coscienza emerge oggi in tutta la sua evidenza. Se mai vi è stata una forma di direzione della politica da parte delle masse delle democrazie moderne, da ogni parte politica giunge l’ammissione, in base ai più elementari principi di onestà intellettuale, che le masse elettorali sono sempre più impotenti.

Facendo un rapido elenco delle cause rileviamo: distorsione mediatica dell’opinione pubblica, perdita della sovranità nazionale degli Stati, emergenza di una classe capitalistica transnazionale che determina gli spostamenti di ricchezza e le politiche economiche degli Stati, capitalismo selvaggio e globalizzato, crescente complessità delle interazioni globali, disaffezione dei cittadini nei confronti delle istituzioni e allontanamento dalla vita politica, ecc.

Se la politica liberale ha la sua unica fonte di legittimità nella volontà popolare, come espressione della maggioranza, questo significa che la politica ha una base interamente relativistica. Si potrebbe obiettare che l’attuale configurazione dello Stato democratico non è l’unica ammessa dal liberalismo e che un’azione risvegliata delle masse potrebbe portare a un cambiamento istituzionale.

Questa obiezione non risolve il problema, perché se l’osservatore politico potrebbe continuare a sostenere che questa sarebbe la volontà della maggioranza, e che andrebbe rispettata in quanto tale, quella massa non potrebbe avere altro motivo di organizzarsi e agire se non alleandosi a una concezione di “Bene” che vorrebbe vedere incarnata nelle istituzioni.

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Per MacIntyre le istituzioni liberali “impongono una concezione particolare della vita buona, del ragionamento pratico e della giustizia a coloro che, volenti o nolenti, accettano le procedure liberali e i termini liberali del dibattito”. Il carattere ideologico della loro concezione del bene è evidente, in quanto “il bene primario del liberalismo non è né più né meno che il continuo sostentamento del sistema sociale e politico e la sua perpetuazione”.

Il dibattito su cosa sia giusto e bene è destinato perciò al fallimento, poiché il liberalismo non ammette nessuna base per giudicare una concezione superiore a un’altra e, in questo modo, presuppone che non esista ordinamento sociale migliore di quello da lui stesso sostenuto.

(Continua)

Gabriella Bianco

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