ALLARME ONU: “IL COLLASSO CLIMATICO È INIZIATO”

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Il pianeta è sempre più caldo. L’ennesimo allarme giunge dall’osservatorio Copernicus, il programma europeo di osservazione e monitoraggio della Terra: il 2023 è stato l’anno più caldo della storia, superando il precedente – e già grave – record di temperatura media globale ottenuto nel 2019. Nei mesi di giugno, luglio e agosto si sono toccati i 16,77 gradi, maggiori dei 16,48 gradi annotati nel 2019. “I tre mesi che abbiamo appena trascorso sono i più caldi degli ultimi 120mila anni”, ha dichiarato Samatha Burgess, vicedirettrice dell’osservatorio, con la concreta probabilità, pertanto, che tutto il 2023 “finirà per essere l’anno più caldo mai registrato”. Sulla base di questi riscontri è intervenuto anche il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, preoccupato per aver “sopportato una stagione bollente: l’estate più calda mai registrata”. Ma c’è di più: il numero uno dell’Onu ha parlato di inizio del “collasso climatico”, evidenziando che il nostro clima sta implodendo “più velocemente di quanto siamo in grado di gestire, con eventi meteorologici estremi che colpiscono ogni angolo del pianeta”. Il dito viene puntato sui governi, che non fanno abbastanza, soprattutto quelli dei paesi più ricchi. Sotto accusa in particolare i combustibili fossili, della cui dipendenza “gli scienziati hanno da tempo messo in guardia”.

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I mari sempre più caldi, lo scioglimento dei ghiacciai, delle calotte polari sono sotto gli occhi di tutti e queste drammatiche conseguenze dell’inquinamento sono parte di un circolo vizioso inarrestabile che svilupperà il rischio di eventi meteorologici sempre più estremi, che coinvolgeranno anche aree geografiche sinora mai interessate. L’impatto drammatico non solo sarà umano, ma anche economico. Le estati torride, gli inverni miti, e lo scioglimento dei ghiacciai, per esempio, non stanno più diventando fenomeni saltuari, ma stanno acquisendo regolarità. Il dato è preoccupante perché le conseguenze sono percepibili nella vita quotidiana di ciascuno di noi, con famiglie che perdono le proprie abitazioni, finanche la propria vita a causa di alluvioni, straripamenti di fiumi, valanghe. Attualmente il punto di non ritorno è stato individuato nell’anno 2030, dopo di che “potrebbe essere troppo tardi per rimediare ai danni causati dal cambiamento climatico”, ha riferito il climatologo italiano Luca Mercalli. È necessario agire immediatamente “per preservare il futuro delle generazioni future”, ha aggiunto. Per il bene dei nostri figli.

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Le soluzioni ci sono, la strada dagli esperti è stata indicata, sta a noi percorrerla. Riduzione delle emissioni di gas serra, passaggio a fonti di energia rinnovabili, persino la raccolta differenziata dei rifiuti costituiscono azioni in grado di fare la differenza. Anche istituzioni non direttamente conducibili ad analisi climatiche, come l’Agenzia Onu per i Rifugiati o l’Organizzazione Mondiale della Sanità, lanciano da anni allarmi per le conseguenze del cambiamento climatico, che si riflettono negli specifici settori di competenza. Proprio l’OMS ha identificato la crisi climatica come una crisi sanitaria, che “alimenta le epidemie, contribuisce a tassi più elevati di malattie non trasmissibili e minaccia di sopraffare la nostra forza lavoro sanitaria e le infrastrutture sanitarie”, con una previsione, tra il 2030 e il 2050, di 250.000 morti all’anno in più a causa di malnutrizione, malaria, diarrea e stress da caldo, e questo solo per quanto concerne danni diretti. Allo stesso modo le carestie e la desertificazione causeranno migrazioni di massa a cui sarà difficile fare fronte. La scarsità di acqua potabile, l’invivibilità di molte zone del pianeta causeranno spostamenti necessari di persone, al cui fenomeno già oggi è stato dato un nome dai media, ovvero di “rifugiati climatici”.

Enrico Picciolo

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