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Migliónico: Castello del Malconsiglio e Congiura dei Baroni
IL CASTELLO
Il castello del Malconsiglio è il castello di Miglionico (Matera), costruito su un colle della città a partire dall’VIII-IX secolo, in una posizione strategica, noto per aver ospitato nel 1485 la Congiura dei Baroni.
Ha la forma di un parallelogramma, fiancheggiato da sette torrioni, alcuni quadrati (i più antichi), due bitorri e altre circolari, poste ai vertici della costruzione.
Appartenne nel tempo al conte Alessandro di Andria, ai Sanseverino di Bisignano, ad Ettore Fieramosca, ai Pignatelli, ai Caracciolo ed alla famiglia Revertera, duchi di Salandra.
La parte più caratteristica è senza dubbio la Sala della Stella o degli Spiriti, nelle cui nicchie intagliate nei muri erano custoditi i tesori dei suoi abitatori: ori, documenti, libri preziosi e monete; proprio per spaventare eventuali malintenzionati, il locale assunse questa particolare denominazione.
Il salone del Malconsiglio, dove si tenne la congiura e nell’anticamera di questo salone si consumava lo Jus Primae Noctis, un privilegio feudale che consisteva nel far sì che ogni sposa trascorresse la prima notte successiva al matrimonio assieme al barone.
LA CONGIURA
Locandina Teatrale del Comune di Miglionico
La Congiura dei Baroni fu un movimento rivoluzionario che si sviluppò nel XV secolo; nacque principalmente in Basilicata come reazione agli Aragonesi che si erano insediati sul trono del Regno di Napoli.
Coronato d’argento del 1488 da 22 Tornesi, fatto coniare da Ferrante I d’Aragona per celebrare la vittoria sui Baroni
Il significato della Congiura dei Baroni, sviluppatasi tra il 1485 ed il 1486, consiste fondamentalmente nella resistenza opposta dai Baroni all’opera di modernizzazione dello Stato perseguita dagli Aragonesi a Napoli.
Il Re Ferdinando I di Napoli (o Ferrante) aveva mirato a dissolvere il particolarismo feudale e fare del potere regio la sola leva della vita del paese.
In questo quadro, lo scontro con i baroni era sorto inevitabilmente attorno al grosso problema di una «riforma organica dello Stato», i cui cardini erano la riduzione del potere baronale, lo sviluppo della vita economica e la promozione a classe dirigente dei nuovi imprenditori e mercanti napoletani.
Strumento di questa politica, fu la riforma fiscale, che affidava nuovi compiti alle amministrazioni comunali (le Università), incoraggiandole a sottrarsi, per quanto possibile, al peso feudale.
Ed in verità è stato calcolato che allora nel Regno di Napoli, su 1550 centri abitati, solo poco più di 100 erano assegnati al regio demanio, cioè alle dirette dipendenze del Re e della Corte, mentre tutti gli altri erano controllati dai Baroni.
Il che significava che il potere feudale nel suo complesso era titolare delle risorse e delle finanze del Regno e che la Corte Aragonese nei fatti era resa subalterna all’organizzazione baronale.
Era quindi naturale che il Re favorisse in ogni modo l’estensione numerica delle città demaniali, sottraendole al peso feudale ed incorporandole alla propria diretta amministrazione. Ma l’impresa non era di poco conto.
I Baroni erano organizzati in grandi dinastie abbastanza ramificate, ognuna delle quali controllava da sola più terre del Re.
Gli Orsini Del Balzo, ad esempio, si vantavano di poter viaggiare da Taranto a Napoli senza mai uscire dai loro possedimenti;
i Sanseverino, ora osteggiati ed ora protetti dal re, erano titolari di feudi che dalla Calabria, attraverso quasi tutta la Basilicata, raggiungevano Salerno e lambivano Napoli; gli Acquaviva, i Caldora, i Caracciolo, i Guevara e i Senerchia completavano questa ristretta élite al potere, che di fatto accerchiava la capitale soffocando il Regno.
Gruppo arte e cultura di Orietta Paganotti
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