ALTAROMA: IL MALATO TERMINALE DELL’HAUTE COUTURE

VENT’ANNI SENZA IL PIU’ AMATO, IL PIU’ IMITATO E MAI DIMENTICATO: GIANNI VERSACE

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Anche quest’anno, come da troppi ahimè, abbiamo assistito alla lenta agonia di un malato terminale, AltaRoma, che più dignitosamente meriterebbe che si staccasse la spina, che calasse il sipario su una manifestazione, ormai parodia di se stessa, abbandonata al suo destino da tutti: designer, buyers, fashion editor e clienti.

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Sono lontani i tempi in cui la scalinata di Piazza di Spagna era la location prediletta dove le più grandi maison di moda facevano sfilare le loro collezioni indossate dalle super top del momento, quando passeggiare per via dei Condotti era sinonimo di glamour e botteghe sartoriali che hanno fatto la storia della moda italiana.Oggi l’intero fashion system preferisce Milano per le sfilate di pret-a-porter e Parigi per presentare le collezioni di haute couture. Allora c’è da chiedersi perché continuare, ogni anno, a proporre una manifestazione che tutti i designer più famosi snobbano, dove nei front row delle sfilate non c’è alcuna ombra di buyers, web influencer e star degne di questo nome?

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Questa edizioni avrebbero potuto benissimo essere intitolarla: “chi l’ha vista?, l’haute couture intendo, gli unici stilisti che hanno accettato di sfilare per AltaRoma degni di nome sono stati: Renato Balestra , Gianbattista Valli e Antonio Marras che per la verità è giunto nella capitale per “sponsorizzare” il figlio Efisio da poco a capo della linea giovane: I’M Isola Marras al suo debutto. Pochi stilisti, ma molti dubbi e tante domande: hanno un appeal sulla millennial generation? (oggi il vero mercato), sono riconoscibili nel mondo come made in Italy? Io ritengo di no, difatti negli ultimi anni Alta Roma ha cercato di cambiare pelle creandosi una nuova mission: diventare una piattaforma di lancio per designer emergenti mettendo il loro lavoro al centro della manifestazione.

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Il premio come miglior creativo di AltaRoma 2017 va al giovane designer Filippo Laterza, emerso già nella scorsa edizione e di cui sentiremo certamente parlare in futuro. La sua collezione prende spunto da una frase del pittore Henri Matisse: “il colore soprattutto, forse più del disegno è una liberazione”, e i suoi capi dalle linee pulite sorprendono per i colori puri e gli accostamenti cromatici di forte impatto visivo, i tessuti usati sono i più preziosi e impalpabili come: l’organza, il mikado di seta pura e il raso più prezioso. L’idea da copiare per il prossimo inverno, che molte maison hanno rilanciato sulle passerelle, è quella di un sfoggiare outfit con l’uso di un unico colore, ma di sfumature a contrasto: rosso scarlatto e rosso vermiglio, rosa cipria e rosa shocking, verde the e verde menta, viola mauve e viola glicine.

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Il premio come peggior creativo va di diritto al figlio d’arte Efisio Marras che nel tentativo di svecchiare una manifestazione datata ha portato in passerella uomini e donne che con baldanzosa sfrontatezza esibiscono la loro giovinezza esaltata da accessori come il cappellino da baseball, calze coloratissime, zeppe altissime e mutanda e reggiseno ben in vista. Alcuni l’hanno definita una collezione di hip hop d’avanguardia, io ho visto solo un déjà vu di trend passati mescolati assieme senza alcuna logica stilistica. E’ una collezione che non parla ai giovanissimi che sono andati oltre i trend degli anni novanta e tantomeno ai non più giovani che con quei trend sono cresciuti e di cui non sentono affatto la mancanza.

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Lasciando la città eterna si arriva a Palermo e si torna a parlare di haute couture, di glamour e di made in Italy con la sfilata della maison Dolce&Gabbana che dopo la scelta di Napoli dello scorso anno, quest’anno sceglie la città siciliana per presentare la sua collezione di alta moda per il prossimo autunno-inverno. Non una semplice sfilata, ma un evento fashion durato quattro giorni che ha portato in Sicilia grandi star, attesi circa quattrocentocinquanta ospiti vip da tutto il mondo, come Madonna e Brad Pitt. Una città blindata, ma che per alcuni giorni ha avuto una risonanza mondiale grazie alla popolarità della prestigiosa maison e dei suoi illustri clienti, non a caso anche gli stilisti hanno detto di voler mostrare Palermo al mondo intero, celebrare le sue bellezze, la sua cultura artistica e culinaria. Si inizia da Palazzo Ganci con la presentazione dell’alta gioielleria femminile a cui è seguita una cena di gala alla Galleria d’Arte Moderna, il giorno seguente è Palazzo Mannarini la location per presentare l’alta gioielleria maschile e in serata tutti in Piazza Pretoria davanti al Palazzo di città per assistere alla sfilata di haute couture.

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L’evento vuole mettere in luce l’artigianalità della moda pura, non a caso la sfilata ha come titolo: “alte artigianalità”, quella più preziosa che nasce dall’intuito e dal disegno dello stilista, ma che prende vita grazie alle sapienti mani di sarte esperte e da una cura maniacale per ogni minimo dettaglio. Hanno sfilato abiti da sogno dal costo minimo di centocinquantamila euro impreziositi, nel senso letterale del termine, da gioielli dal valore di ottocentomila euro. Gli ospiti hanno visto sfilare le modelle comodamente seduti intorno a lunghi tavoli dove, dopo l’evento hanno potuto consumare la cena preparata dallo chef Natale Giunta.

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La maison vuole raccontare, attraverso le sue creazioni, la femminilità siciliana legata a doppio filo con la devozione religiosa, moltissimi difatti sono i richiami alla religione nei loro abiti con stampe religiose, tanti i tessuti damascati e l’immancabile pizzo che ha reso gli stilisti famosi nel mondo. L’abito che ha suscitato molti apprezzamenti è stato un sontuoso abito in pizzo nero e organza che tanto ricordava quello indossato da Angelica per il ballo con il principe di Salina di gattopardesca memoria. Il colore nero perde volutamente quell’aura tragica tipica dell’isola siciliana per diventare simbolo di eleganza e raffinatezza.

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Solo passati vent’anni da quel terribile quindici luglio del 1997, il giorno più brutto per chi ama la moda, perché la morte dello stilista Gianni Versace a soli cinquant’anni non è stata “solo” la morte di uno stilista visionario che negli anni novanta ha inventato tutto quello che oggi ancora fa tendenza e indossiamo, ma soprattutto la morte del fashion rivoluzionario, che amava sperimentare e andare oltre il conformismo del politically correct declinato nella moda prima della sua ascesa. Chissà cosa si sarebbe inventato in questi vent’anni ! Volutamente il mio articolo non è stato interamente dedicato alla figura di Gianni Versace, non perché non lo amassi, anzi è stato e sarà il mio stilista di riferimento, ma perché di lui e di cosa è stata la sua moda ho già parlato in due miei precedenti articoli. Però non potevo esimermi, anche se in un pur breve saluto, nel ricordare a tutti noi che se oggi le influencer e noi comuni mortali abbiamo imparato a prendere meno sul serio la moda, a sperimentare con i nostri outfit lo dobbiamo a lui.

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Ai più giovani dico solo che i brand da loro tanto amati come ad esempio Gucci o Dolce&Gabbana devono moltissimo all’apripista Gianni Versace, il primo a far diventare una sfilata un vero e proprio show, un evento glamour di cui si parlava per giorni su tutti i giornali (e non solo quelli del settore), a portare le star di calibro internazionale in prima fila, ad inventare le mamme delle influencer: le top model. Con lui si apre uno spartiacque: c’è chi sta con il mood Armani e chi con il mood Versace, citando il titolo di un mio articolo le donne si scoprono suorine-Armani o zoccole-Versace o in entrambi i ruoli. Titolo forte ispirato da una frase, sempre smentita, che lo stilista Giorgio Armani avrebbe detto riguardo al suo illustre collega, ma per chi si occupa di moda da molti anni come me sa bene che tra i due giganti della moda degli anni novanta non è mai corso buon sangue, ma forte rivalità. Che sia vera o no ha poca importanza, rende bene cosa voleva dire indossare un capo griffato Versace: voleva dire essere sensuale senza cadere nella volgarità, voleva dire scoprire le gambe, voleva dire amare le paillettes, voleva dire accostare colori di forte contrasto tra loro, voleva dire sperimentare tessuti innovativi come il famoso tessuto metallico da lui inventato e di cui tutti ancora oggi fanno un ampio uso.

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E’ sempre lui il primo a portare in passerella i ripped jeans, lembi di denim che vengono tenuti assieme da preziose spille da balia, è lui ha rompere con i classici tessuti e con i colori confinati in una determinata stagione. In una sua mitica collezione invernale porta in passerella tanto giallo e sfacciate fantasie che i ben pensanti ritenevano adatte solo alla bella stagione, la verità è che rompere i codici della moda non è roba dei nostri giorni, lui ci aveva già pensato molti anni fa, perché diciamocelo indossare un tailleur con una camicia bianca siamo brave tutte e anche un tantino noioso, ma creare un outfit che metta insieme colori, stili e volumi diversi con un pizzico di originalità senza cadere nel volgare o nel ridicolo è cosa assai più difficile, ma tanto più divertente non credete? Questo è la lezione più importante che Gianni Versace ci ha lasciato: imparare ad osare, sperimentare nuovi modi di essere...e poco importa se i commenti al nostro passaggio non saranno sempre piacevoli. Io a vent’anni quando mi innamorai del mood Versace avevo timori e gabbie mentali per osare, oggi a quarantacinque anni suonati me ne frego (forse dovrei cambiare parola…potrei essere accusata di apologia del fascismo visto i tempi che corrono!) dell’altrui pensieri e con la moda ho imparato a giocarci. Anche solo per questo Gianni Versace sarà sempre il mio stilista preferito e oggi, più di ieri, la sua mancanza è insopportabile, grazie Gianni per la rivoluzione fashion che hai portato nella moda, resterai per sempre il più amato, ma anche tanto odiato, il più imitato (ancora oggi) e mai dimenticato. Di sicuro da chi ha amato il tuo stile mai, dallo spietato mondo del fashion system forse, non posso dimenticare che alla notizia della tua morte alcuni tuoi colleghi hanno avuto una malcelata smorfia di sorriso, è la sorte che tocca ai grandi, o li si ama o li si odia non suscitano sentimenti tiepidi, e tu sei stato un grande della moda, di certo il più geniale.

T. Velvet

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