AMERICAN GRAFFITI

Nel 1973 usciva nelle sale cinematografiche l’opera seconda di George Lucas

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Ritratto autobiografico in chiave nostalgica sulla gioventù americana degli anni Cinquanta-Sessanta. Documento sociologico tratteggiato dalla commistione di momenti esilaranti quanto emozionali legati da una colonna sonora assolutamente straordinaria.

Estate 1962, una piccola citta’ della provincia californiana, quattro ragazzi.

Tutta la storia imperniata su una singola notte.

Questi gli ingredienti primari del film cult di George Lucas, il geniale papà di Star Wars che tutti conosciamo e amiamo. I protagonisti: Curt (Richard Dreyfuss), Steve (Ron Howard), John (Paul Le Mat) e Terry (Charles Martin Smith), emblemi giovanili accomunati da un profondo senso di insicurezza proprio del trapasso dall’adolescenza all’età adulta. Ognuno di loro guarda con aspettative diverse al proprio futuro dal piazzale antistante il Mel’s Drive-In mentre il sole volge al tramonto. Steve e Curt, si dicono pronti a partire l’indomani per frequentare un college nell’East Coast, decisi a lasciare la realtà cittadina di Modesto (questo il nome della città, che guarda caso è quella che ha dato i natali a Lucas) non in grado di offrire un futuro consono alle loro aspettative. Il sipario si alza su questo palcoscenico della vita, costrutto di una molteplicità di figure, che vanno ad intersecarsi in un quadro d’insieme all’apparenza caotico, ma che con il passare dei minuti, delinea con fermezzza le trame compositive della storia. Figure, diverse per temperamento, estrazione sociale, sogni e speranze.

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Tutte finiscono con il fondersi, in un convulso carosello di incontri/scontri, memorabili gag, auto lanciate a tutta velocità lungo le vallate, drive-in illuminati come fari nell’oscurità, bande di strada dal nome altisonante. Situazioni trasversali che si incrociano convulsamente nel recinto di una notte all’apparenza uguale a tante altre ma in realtà così diversa nella sua unicità. Ognuno alla ricerca di un’ostentata spensierata felicità, il simbolo di un’epoca destinata di lì a poco all’oblio. Il lacerante conflitto in Vietnam e l’assassinio di JFK, saranno traumi inguaribili che porteranno alla radicale mutazione del contesto politico non solo americano, ma di tutto il mondo occidentale, scavando alle radici della coscienza collettiva. Ogni fotogramma è saldato all’altro da una straordinaria colonna sonora (da Buster Brown, The Crows, Frankie Lymon and the Teenagers, Flash Cadillac, The Platters, Buddy Holly, Richard Rodgers...e tantissimi altri), il meglio del rock n’roll anni ’50 e primi anni ’60, incardinato nel film tramite il bell’espediente della trasmissione radio. L’emittente locale di Mr. Wolfman Jack (Lupo Solitario), fantomatico DJ per cui tutti stravedono.

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È lui che scandisce ogni momento con “note e suoni nella notte”, legati nella circostanza da uno straordinario lavoro di post montaggio sonoro collazionato dal grande Walter Murch.

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Un magico caleidoscopio nel quale lo spettatore viene risucchiato, finendo ben presto col partecipare emotivamente agli accadimenti narrati, in una sorta di osmosi emozionale che lo catapulta in un mondo sparito, quasi ne fosse divenuto una con-presenza invisibile. Un mito, quello di American Graffiti che a quasi quarantacinque anni, rimane inalterato nel tempo e nei cuori di coloro che lo amano, imitato a più riprese, ma rimasto assolutamente insuperato e insuperabile.Film di culto, come detto, nel quale Lucas, rilegge e mostra an american generation in un “Amarcord stars and stripes”, documento di grande importanza sociologica che ha lasciato un solco indelebile. Un "come eravamo" la cui mission è quella di contribuire a far comprendere un passaggio di fondamentale importanza che ha permesso di arrivare alla contemporaneità. Equilibrio sul filo della memoria divenuta storia di un tempo ormai lontano, a tratti ingenuo e inconsapevole.Realizzato in 29 giorni American Graffiti ha ottenuto un grande plauso di critica e pubblico. Cinque nomination agli Academy Awards nelle categorie miglior film, regia, sceneggiatura, montaggio e attrice non protagonista (Candy Clark).

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Due Golden Globe, come miglior film musicale e miglior attore debuttante, Paul Le Mat, e numerosi altri riconoscimenti quali i premi del New York Film Critics e quelli della National Society of Film Critics.Pellicola costellata da attori giovanissimi, alcuni divenuti star hollywoodiane di prima grandezza o acclamati registi, tra questi ricordiamo piacevolmente la partecipazione in un ruolo secondario di un Harrison Ford in erba, nelle vesti del personaggio di Bob Falfa, lo sfidante spaccone.Ogni qualvolta volessimo tornare a riassaporare quei momenti tinti di cotanta nostalgica spensieratezza, non dobbiamo far altro che lasciarci nuovamente trasportare in quel fantasmagorico universo che ruota intorno a quell ’interminabile notte, condensata in due ore di celluloide divenute Mito, tanto reale da riuscire quasi a farci sentire la brezza estiva della provincia americana che ci accarezza il volto.

Massimo Lupi

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