ATTRAVERSARE IL DESERTO (II Parte)

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Sempre caro mi fu quest’ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete io nel pensier mi fingo; ove per poco il cor non si spaura. E come il vento odo stormir tra queste piante, io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando: e mi sovvien l’eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei. Così tra questa immensità s’annega il pensier mio: e il naufragar mi è dolce in questo mare.

L’infinito - Giacomo Leopardi

Messaggi letterari: il potere e le parole

cms_30366/George_Orwell.jpgGeorge Orwell, in quella grande opera sul presente che è "1984", lo esprime molto bene: mentre il "Grande Fratello" costituisce una capillare rete di controllo, il potere dei sentimenti travalica il potere della tecnica. Da qui nasce l’esigenza totalitaria di domarli, governarli, predeterminarli e privarli di ogni carica di desiderio che non coincida con le pulsioni sfrenate del potere.

Per il potere, si tratta di indebolire il "potere delle parole", capaci di cogliere tracce di umanità nella follia umana. Si deve impedire che "il potere delle parole" si spinga sino al fondo degli "incubi dell’anima". Del "potere delle parole" si è terrorizzati, si tenta di domarle e fermarle, cercando di farsi beffa dei sentieri di verità che le "parole vere" esprimono. Nessuna operazione del potere è più abietta di quella tesa a ridurre, spacciandole come assurde, le più profonde verità etiche ed estetiche dell’esperienza umana.

cms_30366/Franz_Kafka,_1923.jpgDopo Franz Kafka, soltanto il genio di Beckett ha potuto usare l’assurdo contro il potere. L’universo della precisione, in Beckett, si rivolge contro le geometrie del potere. L’assurdo del potere si rivela per quel che è: folle pretesa di ridurre la vita a entità calcolabile, e quindi, depredabile e dominabile. In Beckett, la precisione si converte in nemica mortale del potere, perché lo disvela e lo denuncia. Paradossale qui non è la scrittura concentrata di Beckett, ma la rappresentazione e l’esperienza del potere. Anzi, è questa scrittura cristallina e asciutta, quasi eterea, a smascherare i paradossi del potere e il vuoto siderale con cui si circonda e da cui è circondato.

Il "finale di partita" non finisce e non inizia mai, esattamente perché Godot non arriva e non può arrivare. Chi e cosa sia Godot e quale sia la vera posta in gioco nel "finale di partita" nessuno lo sa, tranne il potere. Rendere le forme vive del potere non è dato, né prefigurarne l’abissale crudeltà. E tuttavia, circondandolo di vuoto, esso si avvolge nel suo stesso nulla.

cms_30366/Samuel_Beckett.jpgBeckett ci mostra che il vuoto ed il silenzio gelido costituiscono le realtà prime e ultime del potere. Per liberarsi del vuoto, occorre disdire tutti gli appuntamenti con Godot e uscire dalle secche del "finale di partita". Ecco perché, in Beckett, lo spazio bianco è la figura sublime del vuoto e del nulla. Anziché scrivere, occorrerebbe cancellare la scrittura. È questa la condanna che grava sulla testa dello scrittore, segnandone il destino tragico: essere costretto a dare forma al nulla. Impossibilità dell’espressione significa che non è possibile nominare l’umano, in quanto espressione del nulla. La catarsi liberatoria dal nulla fa sì che la scrittura proceda ritraendosi e si rinchiuda finalmente nel silenzio.

Non più e non solo la parola che "parla" contro il vuoto delle parole, in un percorso che va da Heidegger a Wittgenstein, da Bachmann e Celan. È la parola che tace, per farsi sguardo e ascolto. La parola che tace per smarrirsi, la parola che si immerge nella vita, la parola che insegue la libertà.

Ecco: la non-parola è esattamente la parola che si lascia sedurre dalla libertà. Ai margini della libertà occorre tacere: la libertà è una non-parola. Le non-parole vivono la libertà. Le non-parole della libertà sono le parole nuove. L’assurdo del potere è non solo demistificato, come in Beckett, è anche vinto, riprendendo l’itinerario di Beckett da un’ altra posizione, avviandolo verso altri sentieri e altre prove. Le ultime parole diventano le prime, ma non somigliano alle prime.

È qui che vivere significa continuare, perché continuare acquisisce finalmente il senso del cambiamento. L’ontologia della continuità del non-cambiamento, entro cui sono implacabilmente rinserrati l’Innominabile, Malone, Molloy e tutti i personaggi di Beckett, viene superata. Spezzata è l’ ontologia dell’assurdo che imprigiona Beckett nel silenzio e nel vuoto della disperazione. Ma il silenzio delle non-parole non è sterile, il silenzio delle non-parole dice il cambiamento, la discontinuità. La discontinuità coltiva la speranza, fa vivere nella speranza. Il silenzio delle non-parole dà vita alla speranza. L’amore torna qui come incontro dell’anima e rinascita possibile, non è più "deserto di solitudine e di recriminazione", come in Beckett.

Nessun-luogo come origine e meta

Se i personaggi di Beckett non raggiungono mai nessun luogo, proprio nessun-luogo è origine e meta. Da nessun-luogo inizia e riparte il cammino, da nessun-luogo è possibile forzare 8la prigionia del tempo. Nessun-luogo è un’altra dimensione dello spazio/tempo, cui i personaggi di Beckett sono condannati e si condannano a vivere.

Nessun-luogo è il luogo del contatto perenne tra vita e morte, verso cui tendiamo o da cui siamo attratti. Non la vita contro la morte, ma la vita e la morte si compenetrano. Rompendo il cerchio incantato della morte, irrompe il soffio della vita come qualità specifica dell’essere e dell’anima, che si contrae sotto gli attacchi del nulla e del vuoto e che lotta contro l’impoverimento dell’esperienza e il decadimento, frutti insani del potere.

Non resta che abitare questo nessun-luogo, o, come dice Ungaretti, rimanere in balia del viaggio sino alla morte. In questo senso, felice diventa il naufragare leopardiano nell’infinito. Il cosmo non è né distesa di desolazione o eccesso gioioso. Non è il vuoto e nemmeno il pieno. Non è nemmeno questione di abitare un cosmo disabitato, bensì affrancarlo dalle miserie umane. Per far questo, con Nietzsche, occorre essere e divenire umani più che umani.

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ATTRAVERSARE IL DESERTO (I Parte)

https://www.internationalwebpost.org/contents/ATTRAVERSARE_IL_DESERTO_30353.html#.ZFRLynZByR8

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Bibliografia
- G. Leopardi, Interminati spazi. Leopardi e “L’infinito”, a cura di Alberto Folin, Donzelli, 2021
- I. Kant, Considerazioni sul bello e sul sublime-Il gusto di ridere,
Edizioni Clandestine, 2020
- G. Orwell, 1984, Mondadori, 2016
- S. Beckett, Finale di partita. In, The Complete Dramatic Works, 2022. Prima rappresentazione in Gran Bretagna in lingua francese come Fin de Partie, il 3 aprile 1957
- F. Nietzsche - Umano, troppo umano (1878), Grandi tascabili Economici Newton, 1979

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Gabriella Bianco

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