AVERE O ESSERE, UN DILEMMA UMANO

Riflettendo su Fromm e sull’economia

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Erich Fromm, il filosofo, esponente di spicco della sociologia tedesca, si pose una domanda, per lui fondamentale: “Cos’è l’uomo?”. Per rispondere scelse di considerare le persone in base a due modalità dell’esistenza, l’avere o l’essere. Nel primo caso l’uomo era identificato come l’aderente alle teorie capitalistiche, un prodotto del mero profitto, la risultante di variabili solo economiche e non personali, emozionali. Nel secondo caso invece, con l’essere, si identificava l’uomo che viveva nell’autonomia, nella libertà di scelta e dell’arricchimento interiore. In pratica secondo Fromm chi sceglieva di avere beni materiali era posseduto dai beni stessi, un circolo perverso senza possibilità di interruzione, specialmente con l’avanzare del progresso e del cosiddetto stato di benessere, mentre chi sceglieva di essere, non era più schiavo del possesso ma solo padrone delle proprie passioni, capace di “creare” senza scopo, se non quello del piacere di farlo.

La sua posizione in merito al progresso industriale ed economico, era molto intransigente. Una visione quasi statalista, in cui i beni dovevano essere amministrati e somministrati dallo Stato al fine di garantire la parità di fruizione per tutti. Non a caso Fromm fu un sostenitore delle teorie marxiste. Ma, al di della visione politica e personale della questione, non si può non considerare la forza della divisione da lui teorizzata. Avere ed essere appaiono modalità inconciliabili. La crescita interiore cozza con la capacità, o la necessità, di dover lavorare e produrre. Ricchezza uguale, insensibilità, o perlomeno questo sembra, mentre estro creativo o voglia di libertà, sembrano precludere qualsiasi progresso economico. Quanta letteratura su artisti bohemienne improvvisamente arricchiti che dimenticano i loro amici, il loro passato.

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Anche il film “C’eravamo tanto amati” in qualche modo parla di questa dicotomia tra avere ed essere. Il passato partigiano diventa per alcuni un rifugio in cui trovare certezze mentre per altri solo una parentesi. D’altronde, viviamo nel tempo del tutto e subito, non esistono più gli status symbol, ma gli styles symbol. Chiunque, volendo, può arrivare ad avere un certo oggetto, o perlomeno quasi chiunque, ma pochissimi possono averlo di foggia diversa. Ed ecco che allora si compra l’ultimo modello di telefonino oppure si mettono gli accessori più esclusivi sul proprio veicolo, per farsi vedere, per distinguersi. Modalità superficiale, certo, ma dall’altra parte c’è un’esasperazione del concetto di arte e libertà, che sfocia spesso nel non rispetto delle regole di convivenza civile. Si vorrebbe rivivere un concetto tribale impossibile da replicare, per troppi motivi. Dalla disonestà alla furbizia alla voglia di comandare, sono tanti i fattori per cui la società attuale non può rifarsi ad ataviche memorie. Esisterà sempre un capo del villaggio, e purtroppo sarà sempre umano, avrà le sue simpatie e le sue antipatie, vorrà portare avanti le sue visioni del mondo senza considerare gli altri, e dall’essere si passerà all’avere, al prestigio, al potere. La chiave è tutta lì, forse.

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Che ci si trovi nella modalità avere o essere, si sarà comunque suscettibile al potere. In Occidente l’unica nazione dove, probabilmente, si è raggiunto un equilibrio sociale senza interferire con le motivazioni personali, è la Svizzera, dove si può essere chi si vuole, occupare la posizione alla quale si ambisce, confrontandosi però con le regole stabilite attraverso referendum che coinvolgono tutti dal locale al nazionale. Ma a livello umano, globale, questa differenza tra l’avere e l’essere è un motore propulsivo dell’economia malata, inquinante. Si creano le basi nelle zone dove l’essere è l’unica scelta, per mancanza di materie prime e si convince la popolazione della bellezza dell’avere laddove si può ancora spendere o comunque indebitarsi.

La domanda di Fromm è ancora valida dunque. Cos’è l’uomo? La risposta non può essere univoca, in quanto risiede dentro ognuno di noi, solo che in molti casi è la quella sbagliata.

Paolo Varese

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