A TARANTO “ACCIAIERIE D’ITALIA ” NEL PEGGIORE STALLO- VERSO DEFAULT ???

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Di contro a quanto riuscito per la fabbrica Triestina di Arvedi, a Taranto sembra miracolistica la possibilità di una concreta replica riguardo alla programmazione, a zero impatto ambientale, del ciclo di produzione dell’acciaio nella fabbrica “Acciaierie d’Italia” controllata dalla Holding SPA con governance maggioritaria di Arcelor Mittal partner privato Indo- Britannico con quota del 62% (attraverso Am InvestCo) contro quella statale del 38% di "Invitalia".

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Purtoppo, lungi dal rilancio imprenditoriale che ci si attendeva dalla nuova compagine, lo stabilimento siderurgico Tarantino si dibatte in un vortice di problematiche senza sostanziale soluzione di continuità; sino dal default della ex ILVA dei Riva che, per la parte in amministrazione straordinaria, è approdata in "Acciaierie d’Italia" SPA dove il rimpallo di responsabilità Commissariali si scontra con la intransigente cura che la AD Lucia Morselli riversa sull’interesse privatistico del socio Arcelor Mittal .

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Comunque, per questa pur sempre ritenuta la maggiore acciaieria europea, se un primo evidente problema attuale risiede proprio nella composizione mista privatistica- statale, ad aggravarne la conduzione imprenditoriale concorrono anche le pendenze giudiziarie che, derivate dalla sentenza “Ambiente Svenduto” emessa dalla Corte d’Assise di Taranto , rendono inattuabile anche un passaggio di proprietà- management previsto solo ad impianti liberi da vincoli; mentre, sino a sentenza definitiva in Cassazione, rimane sospesa l’esecutività della confisca dell’area “a caldo” al cui riguardo, oltretutto, neanche sarebbe ritenuta possibile una verifica di congruità del risanamento ambientale in conto AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale) se i relativi lavori, persino sottoposti ad una recente inchiesta giudiziaria, non siano commisurabili all’impianto che, solo se riportato al pieno della quota di produzione , potrebbe essere valutato come ancora inquinante, o meno.

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Queste premesse fungono da non lieve corollario per la situazione di grave crisi dello stabilimento siderurgico che, sebbene lo si intenda avviare verso la conversione ecologica secondo Pnrr con previsione, entro agosto 2023, della decarbonizzazione del processo produttivo sostituendo il carbon fossile con l’idrogeno e realizzando un forno elettrico , dispone di impianti ormai vetusti e può contare solo su due altiforni a lavoro con una produzione di acciaio grezzo che, addirittura ridotta alla metà rispetto alla previsione annuale di 6 milioni di tonnellate, risulta persino superata dalle quote di acciaio raggiunte dall’Acciaieria Triestina; mentre, non minore precarietà ricade sulla forza operativa degli oltre 1700 lavoratori dell’ex ILVA in AS e di altri 2500 lavoratori messi in cassa integrazione su cui la Procura indaga in base a denunce dei Sindacati che paventano si sia dissimulata la realtà di ferie epermessi non concessi. Tanto, mentre si è accumulata una enorme contingenza energetica e finanziaria con la caterva di debiti per centinaia di milioni; soprattutto, nei confronti di SNAM, ENI (£ 600milioni?) e della stessa ILVA in AS riguardo al canone trimestrale di £ 22,5 milioni da corrisponderle come fitto degli impianti; oltre a tutte le inadempienze e scadenze da onorare verso gli altri fornitori fra cui, a pagare da 10 anni ogni scotto delle alterne vicende della fabbrica, le imprese dell’indotto che, in 145, si sono viste sospendere sino al 16/01/2023 le commesse di "Acciaierie d’Italia" per lavori non riferibili ad operazioni non procrastinabili.

A fronte della stretta necessità di liquidità per conto della gestione Arcelor Mittal da parte della AD Lucia Morselli , non è bastata la cartolarizzazione da 1,5 miliardi di euro di crediti commerciali e altrettanto insufficienti sono risultati gli £ 850 milioni già erogati dal governo Draghi; per cui, l’attuale battere cassa mira ad ottenere, al più presto, £ 1 miliardo stanziato dal governo con il Decreto “Aiuti bis”.

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Di contro, però, il governo vorrebbe vincolare quella somma alla ricapitalizzazione per il cambio di management ; anche anticipando, in favore della quota partecipativa statale di "Invitalia", la maggiorazione al 60% che, in base ad un versamento di £ 680 milioni, è stata rinviata a maggio 2024; per cui, si cerca una garanzia rispetto al socio Arcelor Mittal, nel senso di doversi ritenere che quella eventuale anticipazione sia in funzione della operatività dell’azienda per l’aumento della produzione e la tutela dei lavoratori e delle imprese dell’indotto oltre che per la realizzazione degli investimenti per il completamento del piano ambientale del Dpcm del 2017 con crono- programmi già in corso dal 2018 sino al termine ultimo del 23 agosto 2023.

Mentre, soccorrerebbe la collocazione di un “green bond” per il finanziamento degli investimenti che, nel periodo 2025-2027, sono previsti per migliorare l’impatto ambientale degli impianti.

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In questa rincorsa a possibili fonti di liquidità, è stata tentata anche la proposta di un emendamento all’altro Decreto “Aiuti ter” che, però, riportandosi all’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, non apporterebbe contributi reali all’attuale ciclo di produzione dell’acciaio, dato che lo specifico art.24 riferito alla riconversione industriale e transizione energetica prevede aiuti urgenti alla siderurgia nel limite di £ 1 miliardo al soggetto attuatore dell’impianto per la produzione del Preridotto–Directreduced Iron, di idrogeno derivante esclusivamente da fontirinnovabili. In buona sostanza, si annaspa nella ricerca di una strada che porti ad un fattibile compromesso ; con il tempo stringente, dato il rischio di un default di “Acciaierie d’Italia”, la cui situazione di totale precarietà debitoria si inserisce nel vortice della più globale recessione che, anche a causa delle importazioni di acciaio Cinese in Europa, ha portato al rallentamento della richiesta dell’acciaio grezzo da cui ricavare bramme per bobine laminate "a caldo"; con la conseguenza del ribasso del prezzo dei relativi laminati. Ciò che ha già indotto Arcelor Mittal a chiudere fabbriche in Spagna Francia Germania e Polonia, trasferendo la produzione per sottrarsi alle prospettive economiche aggravate dall’insostenibile aumento dei prezzi delle forniture di energia.

Oltretutto, non ci sarebbe più tempo da perdere per il pericolo di situazioni incontrollabili dettate dalla esasperazione generata dalla convinzione che, nonostante le grosse responsabilità stigmatizzate nella sentenza della Corte d’Assise, dalla fabbrica perduri l’emissione di sostanze inquinanti che mettono a repentaglio la salute dei Tarantini che, contro il reiterato abuso ingiustificabile anche dietro l’alibi di crisi energetica e finanziaria, si sono indotti a ricorrere alla Corte di Giustizia Europea, con una “class action” contro la proroga al 2023 dell’AIA subordinata all’ adeguamento dell’attività industriale , su cui si è ben lungi dal potere fare conto, data la evidente situazione di precarietà in ogni senso.

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Quindi, è nell’aria un ulteriore rischio che potrebbe trascendere il barcamenarsi nei continui rinvii di componimento del braccio di ferro, nella compagine “Acciaierie D’Italia” SPA, fra l’interesse privatistico e quello Statale; nel timore di una deriva dettata da atti inconsulti che potrebbero portare ad una improvvisa chiusura dello stabilimento siderurgico che, se pure auspicabile in base ad una ragionata predisposizione sull’esempio Triestino, costituirebbe un ennesimo problema fuori controllo che atterrerebbe Taranto con impatto del tutto destabilizzante, simile a quello del colpo fulmineo di un potente e secco refluo di quella Bora che, da sempre, allena e fortifica i Triestini; mentre, i Tarantini sono resi molli dall’umidità dello Scirocco in riva al loro tepido Jonio.

Rosa Cavallo

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