Albania: sale la tensione in vista della riforma della Giustizia

L’ambasciatrice Usa persevera nella sua missione, mentre nascono decine di piccoli movimenti anti-americani

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Ormai da settimane Tirana è sommersa da scandali e proteste che riguardano, in particolar modo, la demolizione del Teatro Nazionale, considerato il simbolo artistico della città, che per due anni è stato al centro delle attenzioni di tutti i media nazionali e internazionali.

La difesa di un luogo pubblico e di un’opera facente parte del patrimonio culturale albanese ha visto il coinvolgimento non solo di tanti artisti, ma anche della società civile e dei politici albanesi; questi ultimi - in particolare l’opposizione, rappresentata dal Partito democratico di Lulzim Basha (la destra albanese) e LSI, capeggiato dalla moglie del Presidente della Repubblica albanese Ilir Meta, Monica Kryemadhi - hanno trasformato la questione in un tema alquanto spinoso.

Il Teatro Nazionale di Tirana, costruito dai tempi della II guerra mondiale da architetti italiani (come del resto tutti gli edifici istituzionali attorno a Piazza Skenderbeg), luogo in cui si sono svolti tanti processi contro i dissidenti all’epoca del regime Hoxha, conta da anni numerosi artisti che si battono contro la sua demolizione, chiedendo a gran voce un restauro alla luce delle parole di ingegneri e architetti, i quali l’avevano dato per spacciato. Nonostante le proteste, è stato abbattuto una domenica mattina, durante la quarantena, nel silenzio generale, scatenando forte indignazione nei cittadini. Tralasciando le modalità di abbattimento, ora il punto nevralgico della questione ha a che fare con il dopo-teatro: cosa accadrà a seguito della demolizione? Sarà semplicemente eretto un nuovo teatro, come promesso dal sindaco Erion Veliaj, oppure i più di 10mila metri quadrati saranno sfruttati per costruire grattacieli ed altri edifici, dati in concessione ai privati da parte del Governo Rama? Da questi interrogativi e dalle lotte portate avanti finora è nato “Alleanza per il Teatro”, un movimento che intende raccogliere firme per affermarsi come partito contro la classe politica “corrotta” albanese di questi 30 anni, come loro la definiscono. Le proteste erano già cominciate per le misure che il governo Rama aveva assunto in risposta alla pandemia di Covid-19; ciò è costato loro la pesante accusa di aver tentato di boicottare la quarantena, mossi dalla cittadinanza e da un avvocato che, molto presente sui media, era solito dar voce a slogan complottisti circa un possibile tentativo, da parte delle istituzioni, di nascondere un giro di affari loschi con la questione coronavirus e la quarantena obbligatoria.

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Da lì l’Alleanza per il Teatro si è poi spinta alla richiesta di modificare la legge elettorale, per la quale si sono espresse anche tante organizzazioni e movimenti che spuntano come funghi in Albania pretendendo di prendere poi parte alle nuove elezioni, credendo di poter eludere l’attuale legge elettorale. Si richiede, per l’appunto, l’introduzione di liste aperte per consentire l’accesso alle elezioni anche a piccoli partiti, o individui che possono essere eletti direttamente dal popolo senza far capo ad alcuna organizzazione politica.

Occorre però sottolineare un fatto importante: gli stessi membri dell’Alleanza per la difesa del Teatro erano scesi in piazza, lo scorso 2 marzo, dichiarando di manifestare in difesa del Presidente della Repubblica e della Costituzione. Pare che i componenti dell’associazione, al tempo stesso, siano strettamente legati a coloro che si battono per la riforma della Giustizia e che vedono l’America non più come una salvezza per l’Albania, bensì come un nemico. Anche l’Ambasciata americana e i rappresentanti internazionali in Albania, dal canto loro, chiedono che venga mandata avanti la riforma della Giustizia e venga modificata la legge elettorale, per la quale è essenziale l’apertura dei negoziati per l’integrazione all’UE. Sembra però che i politici albanesi non siano tanto disponibili a farlo, sebbene abbiano votato a favore della riforma già nel 2016 con il sostegno dell’allora ambasciatore americano in Albania, Donald Lu. Oggi, a due anni di distanza dalla costituzione della SPAC, che sottoporrà tutti i politici all’esame della Commissione di Giustizia per corruzione o affari sporchi, il paese è piombato nel caos più totale; nel frattempo è cambiato anche l’ambasciatore degli Stati Uniti in Albania, con l’arrivo di Yuri Kim. L’ambasciatrice è determinata nel seguire la stessa missione di Donald Lu nella lotta contro il crimine e la corruzione politica, che però sembra non essere congeniale né al governo in carica né all’opposizione. Inoltre, in questi anni si sono susseguite innumerevoli proteste da parte del Pd, dell’opposizione e dell’LSI, esacerbate ulteriormente dopo la demolizione del Teatro Nazionale.

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Oggi si pagano pseudo-analisti, politici e giornalisti, nonché membri della società civile, per la difesa dal “nemico”, come loro stessi definiscono l’intervento diretto degli americani e degli ambasciatori stranieri a Tirana, per mandare avanti la Riforma della giustizia come unica via che possa aprire le porte all’Albania verso il club UE. Recentemente, dopo giorni di trattative tra l’ambasciatrice americana Yuri Kim, gli ambasciatori dell’UE e quello inglese a Tirana, è stato raggiunto un accordo tra tutte e tre le forze politiche del paese sulla riforma della legge elettorale. Accordo, questo, che renderà possibile la riapertura dei negoziati per l’adesione all’UE.

Marsela Koci

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