BREXIT, TORNA IL RISCHIO NO DEAL

Barnier, capo negoziatore UE: “a luglio il Regno Unito non ha mostrato nessun passo avanti”

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Sembrava un rischio ormai sventato, un pericolo che nessuno voleva correre e che, nonostante gli screzi, alla fine tutti avrebbero collaborato per evitare. E invece, dopo 8 mesi e ben 7 incontri di negoziazione dall’uscita definitiva del Regno Unito dall’Unione Europea, la Brexit “no deal” è ancora una realtà possibile, e forse neanche troppo improbabile. Troppe le pretese dei britannici, che sembrano continuare la cosiddetta “cherry-picking attitude” (letteralmente, “l’attitudine di raccogliere le ciliegie”, metafora usata per evidenziare la tendenza dell’UK a trarre solo i benefici dall’Europa senza mai sobbarcarsi alcun onere) anche ora che nell’Unione non ci sono più. E con l’imperversare del terribile Coronavirus, i danni della Brexit si stanno palesando ancor prima del previsto, con il governo d’Oltremanica che ha dovuto chiedere aiuto e collaborazione proprio a quell’Unione Europea che fino a pochi mesi fa aveva snobbato con disprezzo.

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La scadenza ultima per un accordo sul post-Brexit è fissata per fine ottobre. In teoria, ci sarebbe ancora abbondante tempo per arrivare alla decisiva stretta di mano, ma ciò che preoccupa è che in tutti questi mesi (in realtà anni, se si considera che i tentativi di accordo risalgono a ben prima della Brexit ufficiale) non sembrano essere stati fatti passi avanti significativi. Lo ha spiegato, con rammarico, Michel Barnier, capo negoziatore UE per la Brexit: “Il primo ministro britannico Boris Johnson aveva detto a giugno che voleva accelerare i negoziati in estate. Ma a luglio il negoziatore del Regno Unito non ha mostrato nessun passo avanti, e ha mantenuto le stesse posizioni anche nell’ultimo incontro. E questo nonostante la nostra flessibilità".

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La controparte britannica, capeggiata da David Frost, pare anch’essa pessimista, con l’unica differenza che, per essa, la colpa della frenata sarebbe dell’UE. Il prossimo appuntamento negoziale è a Londra, dal 7 all’11 settembre, dove si capirà se le difficoltà emerse finora siano oggettive o frutto della strategia britannica: il governo di Boris Johnson, infatti, ha più volte dimostrato di non aver paura di tirare al massimo la corda pur di ottenere patti più favorevoli, dato che la Gran Bretagna è un Paese “too big to fail, e la prospettiva di un crollo economico di Londra sarebbe catastrofica per tutta l’economia mondiale. Ma se questo scenario dovesse verificarsi, a pagarne le spese più di tutti sarebbero proprio i britannici.

Giulio Negri

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