C’è una piccola Italia che riparte. Il ciclo dell’acciaio si riavvia.

In uno scenario statico dell’economia italiana, un fuoco si riaccende. È quello dei forni delle acciaierie di Piombino che, grazie all’accordo siglato dalla nuova proprietà algerina, hanno ripreso a funzionare. Pur non apparendo un fenomeno proprio di quell’innovazione capace di trasportare il Paese in un nuovo e lungo ciclo economico, si tratta di un segnale importante di ripresa, soprattutto se a darlo è un luogo simbolo dell’industria italiana.
L’AFERPI - gruppo CEVITAL di Issad Rebrab – ha deciso di puntare sull’incremento produttivo, migliorando gli impianti, spinto forse dai dati che, nel gennaio scorso, riportavano un decremento italiano del 5,3%. Ad aver attraversato uno dei momenti più cupi a memoria di statistica, è stato l’intero mondo dell’acciaio, secondo il report diffuso dalla Word Steel Association, registrando una produzione nel primo mese del 2016 pari a 127,7 milioni di tonnellate, circa dieci milioni in meno di un anno fa.
In una congiuntura difficile, la fornitura da parte di SMS DEMAG di un nuovo impianto di laminazione della capacità di 750 mila tonnellate in grado di produrre, a consumo energetico ridotto e a bassissimo impatto ambientale, rotaie da 120 metri con fungo indurito, consentirà di realizzare anche travi, palancole e profili in acciai speciali ultraleggeri.
Nell’era della Terza Rivoluzione Industriale c’è dunque un’Italia operaia che si rialza, richiamando in fabbrica capitali esteri. C’è un’Italia per la quale vale ancora la pena di lottare. I dipendenti reintegrati salgono a 1380, riducendo a 743 quelli ancora in cassa integrazione.
“Quella di Piombino è una lezione che dimostra come sia ancora possibile un patto tra lavoro e capitale sano” ha commentato Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana in probabile corsa per la leadership del Partito Democratico al congresso del 2017. La propulsione industriale ha prodotto i suoi effetti sulla politica locale: il PD ha riaperto un circolo di fabbrica. Nostalgia della pre-globalizzazione? Forse. Quella degli operai, sta di fatto, non è ancora una classe in estinzione.
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