CARLO CROCCOLO

Istantanee d’autore

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L’ho incontrato solo una volta, in occasione di un Premio che presentavo.

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Avevo sollecitato io la sua presenza sia per il peso che aveva avuto nella storia del cinema e del teatro e sia perché, avendo lavorato spesso con il mio amato Totò, ero curioso di farmi raccontare un po’ di aneddoti.

L’impatto fu piuttosto turbolento perché arrivò 5 minuti prima dell’inizio dello spettacolo; avevo già rifatto la scaletta pensando che non arrivasse più e poi ripristinata in fretta e furia visto che era il primo ospite.

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Ma era già ultranovantenne, appesantito e con varie disabilità e quindi non potevo considerarlo “molto colpevole”.

Gli dissi che sarebbe stata un’intervista/conversazione molto informale e a braccio.

La sensazione di antipatia che avevo avuto nelle nostre conversazioni telefoniche le motivai quella sera, quando capii che un uomo che aveva avuto una vita interessante si doveva sentire piuttosto frustrato a non essere più completamente autosufficiente, sofferente e impacciato nei movimenti.

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Ma, da consumato uomo di spettacolo che teme soprattutto di essere compatito, giocava su una cruda autoironia che depotenziava qualsiasi giudizio dall’esterno.

Con orgoglio però esaltava le sue capacità mentali e soprattutto la sua abilità nell’informatica.

Aveva assemblato da sé il suo computer ed era aggiornato su gran parte delle novità che questa tecnologia producesse.

Ed esaltava sua moglie, con cui era sposato da oltre 30 anni, intelligente e capace di sopportare una persona difficile come lui.

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Avevo voglia di sapere del suo primo incontro con Totò.

“A Totò ci sono arrivato attraverso una catena di coincidenze. Lavoravo alla Rai insieme all’attrice Zoe Incrocci, che mi stimava e mi voleva bene.

Mi invitò a conoscere suo fratello sceneggiatore Agenore (della coppia Age e Scarpelli). Age mi volle far conoscere il regista Mario Mattoli che, a sua volta, mi disse che voleva presentarmi a Totò.

Mi portò a casa di Totò, il quale mi squadrò e disse: “Si, la faccia da fesso la tiene, mò bisogna vedere quello che sa fare!”.

E mi mise alla prova nel film ‘47 il morto che parla’, in cui affrontai una scena di 7 minuti con lui. Un tempo enorme davanti alla macchina da presa.

Io ventenne davanti a un mostro, ad un sapiente conoscitore dei tempi comici.

Dopo aver girato mi disse: Non sei male!

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Un complimento di cui vado orgoglioso, fatto da Totò!

Mi insegnò ad essere un professionista, quale allora non ero.

Ma ci vedevamo solo per lavoro, perché lui era un tipo che si isolava, non faceva vita mondana, se non quando era costretto.

Nel suo pensatoio scriveva e molto bene.

Per me è stato più grande come poeta che come attore.

Ed è tutto dire!”

Poi gli feci vedere una clip di una scena con lui e Sofia Loren.

“Era bravissima e soprattutto una donna umanamente eccezionale.

Ricordo che mi ero trasferito in Canada, dove facevo il regista di pubblicità televisive. Le scrissi una lettera e lei mi rispose con un’altra scritta a mano, molto affettuosa e incoraggiante.”

Nella sua vita ha fatto molte esperienze diverse.

Era uno studente di medicina, ha fatto lo scultore, il regista; faceva l’attore per soldi e non per il cosiddetto sacro fuoco della recitazione.

Questo mestiere gli aveva permesso di realizzare molti suoi desideri.

Ironicamente diceva che la sua faccia da fesso gli aveva garantito una carriera.

Non rimpiangeva nulla; si, riconosceva di aver fatto errori ma avrebbe rifatto esattamente le scelte della sua vita.

“Di essere un grande attore non mi è mai importato nulla, ho preferito cercare di essere un uomo, vero, umano.”

(le foto appartengono al mio archivio privato)

Giacomo Carlucci

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