CASO ZAKI, UDIENZA IL 21 NOVEMBRE
Il ruolo della Procura Suprema e dell’Agenzia per la sicurezza nazionale, dai rapporti di Amnesty International
Alla stregua del respingimento del ricorso degli avvocati, l’attivista e ricercatore di origini egiziane Patrick George Zaki resta in carcere in attesa dell’udienza fissata per il prossimo 21 novembre. Uno dei legali del ragazzo, Hoda Nasrallah, sottolinea che non si tratta di un "prolungamento" della custodia, ma solo di un "rinvio" dell’udienza a cui il giovane peraltro non ha potuto partecipare "per motivi di sicurezza legati alle elezioni politiche" in corso in due fasi in Egitto. Zaki è detenuto presso il carcere di Mansoura dal 7 febbraio scorso in misura cautelare fino a data da destinarsi, con l’accusa pendente di propaganda sovversiva, per cui rischia di scontare 25 anni nei centri di detenzione egiziani, per alcuni post attribuitigli in cui la Procura Suprema ritroverebbe messaggi di incitamento alla protesta e istigazione ad atti terroristici. Secondo le evidenze presentate dalla difesa oltre a trattarsi di un profilo falso, quello su cui verterebbe il capo d’accusa, in veste di attivista, Zaki non avrebbe fatto altro che esprimere opinioni politiche sui social media, riconducibili al suo lavoro volto alla tutela dei diritti umani. Sulla base di tali considerazioni, organizzazioni internazionali quali Amnesty International, attive in tema di lotta alle “gross violations” , ha definito Zaki un “prigioniero di coscienza”, sollecitando attraverso gli uffici del Pubblico Ministero al Cairo il rilascio immediato e incondizionato del giovane attivista, le cui condizioni di arresto destano solidi sospetti circa la sottoposizione dello stesso a “trattamenti inumani e degradanti”, di cui all’art.3 della CEDU e all’art.7 del Patto delle NU sui diritti civili e politici.
A Zaki sarebbe anche stato negato il diritto all’equo processo, non avendo potuto usufruire della presenza dei suoi avvocati se non a un mese dal momento dell’arresto. Sono anche da sottolineare i precedenti per omissione di denunce di sparizione forzata e tortura e di utilizzo di confessioni estorte per mezzo di tortura, per cui la Procura Suprema sarebbe imputata. Secondo il rapporto di Amnesty International, “Stato di eccezione permanente”, 46 sarebbero i casi di maltrattamenti e torture su cui la Procura non avrebbe disposto alcuna indagine, e 112 i casi di sparizione forzata per periodi fino a 183 giorni, prevalentemente per mano dell’Agenzia per la sicurezza nazionale. È pressoché di prassi in Egitto, ai fini di contrasto dell’opposizione politica pacifica, silenziarne le voci attraverso l’adozione di una politica di terrore, che prevede l’impunità di crimini quali il trattenimento forzato di detenuti in condizioni disumane sotto la minaccia o l’uso di tortura e di altri atti di natura coercitiva, omettendo il diritto ad essere informati dei propri diritti e a disporre di avvocati. È in questo preoccupante quadro minatorio dello stato di diritto, che preme l’urgenza del rilascio di Zaki e di garantirne la tutela, permettendo l’apertura di un’indagine indipendente circa le violazioni di cui lo Stato egiziano si sia reso responsabile dinnanzi al diritto internazionale.
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