CASO ZAKI: UNA VERA FARSA DI REGIME!
Ancora un altro rinvio a giudizio; la difesa chiede gli atti

Secondo la visione di uno Stato di diritto e democratico, quello perpetrato nei confronti di Patrick Zaki, studente egiziano dell’Università di Bologna, è un vero accanimento giudiziario. La farsa politico-istituzionale messa in atto dal regime di al-Sisi, sta facendo, oramai, perdere il sonno a quanti credono che la via che porta allo sviluppo socio-economico di un paese arretrato come l’Egitto, passa soprattutto attraverso il riconoscimento della libertà di opinione e dei diritti civili. La vicenda Zaki, iniziata nel febbraio 2020, è andata avanti a colpi di rinnovo della custodia cautelare fino alla prima udienza del 14 settembre scorso (rinviata a ieri), durante la quale l’ANSA (sul posto) ha potuto documentare, nei 5 minuti del “dibattito” processuale, l’ennesimo atto di una messa in scena creata per arrecare sofferenza a un ragazzo accusato, in questa fase di giudizio, di reati minori come la “diffusione di notizie false dentro e fuori il Paese".
E di così breve durata (2 minuti), è stata anche l’udienza delle scorse ore, rinviata a dicembre per consentire alla difesa di studiare meglio gli atti: "Il rinvio del processo è stato deciso affinché la difesa possa ottenere copia ufficiale degli atti, fare le proprie memorie e rappresentare Patrick nel migliore dei modi con una forte memoria", ha confermato all’ANSA la sua principale legale, Hoda Nasrallah. Ad aggravare l’immagine negativa di un sistema giudiziario egiziano asservito al potere centrale, c’è anche la questione di non aver mai messo gli atti processuali a disposizione dei legali di Patrick: "ci hanno presentato gli atti senza fornircene una copia o fotocopia ufficiale […], ma per fare le memorie è necessario avere i documenti in mano in modo da poterli utilizzare in ogni punto, e finora questo non è stato possibile", ha aggiunto la legale dello studente.
Si spera, nel frattempo, che questo lungo rinvio possa permettere ai legali di Zaki di ottenere tutta la documentazione necessaria a preparare una memoria difensiva che porti più presto il proprio assistito aldilà di quelle sbarre che da 20 mesi gli hanno precluso il ritorno a una vita normale, dopo l’arresto, le torture e la permanenza in galera senza processo e sentenza definitiva. Sempre che all’accusa di “diffusione di notizie false” non si aggiungano quelle di "minare la sicurezza nazionale" e di istigare alla protesta, "al rovesciamento del regime", "all’uso della violenza e al crimine terroristico", basate sull’ipotesi di reato di dieci post di controversa attribuzione scritti su Facebook. Reati che, secondo Amnesty International e alcune fonti giudiziarie, gli farebbero rischiare 25 anni di carcere o addirittura l’ergastolo.
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