CENA IN EMMAUS di CARAVAGGIO

Arte e spiritualità

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Vi presento la «Cena in Emmaus» del Caravaggio, conservata a Londra. Una seconda versione del dipinto è esposta alla Pinacoteca di Brera.

Guardando quest’opera mi risuona in mente la promessa di Gesù mentre era a tavola con gli apostoli: «Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo». Al di là delle emozioni che le immagini e le parole possono suscitare, la certezza più salda è che Dio è con noi, rimane con noi facendosi pane: la tavola apparecchiata con elegante sottotavolo damascato e candida tovaglia di lino è simbolo dell’altare.

Il dipinto rappresenta il culmine dell’episodio descritto da Luca nel Vangelo: i due discepoli riconoscono Gesù nel momento in cui spezza il pane. Proprio al centro della tovaglia sono infatti rappresentati il pane e il vino, simboli del corpo e sangue di Cristo.

Gesù imberbe è un’iconografia insolita, da alcuni considerata irriverente: il suo volto esprime pace e armonia, il suo sguardo è rivolto al pane sulla tavola, simbolo del suo corpo offerto; con il gesto della mano benedice il pane con tre dita alzate, allusione alla Trinità.

cms_30708/1v.jpgCristo sembra anche voler rispondere alla richiesta dei discepoli: «Rimani con noi perché la sera cade, e il giorno volge già al tramonto». I due discepoli sono colpiti dalla persona di Gesù: la sua presenza riscalda il cuore, il suo messaggio è una vera sfida. Ti capita di invitarlo a casa tua come hanno fatto i due discepoli? Ti interessa che Cristo venga a conoscerti fin dietro le apparenze, anche lì dove sei più vulnerabile? Gli consenti l’ingresso negli angoli più oscuri del cuore che di solito tieni chiusi a tutti gli altri?

I colori predominanti sono il rosso, il verde ed il bianco: alludono alle virtù teologali di fede, speranza e carità. Altri dettagli sono degni di nota: la straordinaria rifrazione della luce nella bottiglia e nel bicchiere di vino bianco ed il fagiano, simbolo di rinascita e dunque allusione alla risurrezione di Gesù. Caravaggio spinge ad osare e a fidarsi di Gesù: non è facile, spesso siamo pieni di paure e la fiducia ci viene difficile; tante debolezze non le ammettiamo nemmeno a noi stessi. Eppure, i due discepoli hanno aperto il loro cuore e hanno avuto il coraggio di dare voce ai loro segreti più dolorosi e tristi, sono riusciti ad essere sinceri con sé stessi e con Dio. Da parte sua, Gesù non rifiuta la richiesta dei due discepoli: entra nella locanda per cenare con loro perché egli è il Dio che si dona e che anzi cerca i suoi figli perché ha piacere di stare con loro.

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I discepoli sono pellegrini, come rivelato dalla conchiglia che uno di loro porta sul petto. È una chiara metafora della condizione umana: siamo tutti pellegrini diretti verso una meta che trascende i limiti e le fatiche del vivere quotidiano. «L’uomo senza la certezza di una vita in avvenire è il più infelice degli animali», diceva Dante Alighieri.

I discepoli riconoscono il Salvatore allo spezzare del pane: quel misterioso personaggio è Gesù ed è vivo. Il discepolo a sinistra con una manica strappata scatta in avanti, con prontezza si appoggia ai braccioli per alzarsi. Una volta riconosciuto Gesù, i due sentono urgente il desiderio di comunicare la loro esperienza: la testimonianza sempre nasce dall’incontro personale con Gesù. Il forestiero ha reso tutto nuovo, li ha trasformati in persone che non vedono più solo buio e che sentono solo delusione e tristezza. Tutti ci siamo sentiti almeno una volta disillusi e arrabbiati con la vita, amareggiati, pieni di risentimento e convinti che la vita ci abbia ingannati. In realtà, la bellezza della vita è connessa alla sua fragilità.

cms_30708/3v.jpgLa presenza dell’oste è insolita e non citata dalla fonte evangelica, ma insieme alla natura morta in primo piano dà familiarità alla scena, elemento caro alla poetica del Caravaggio.

Non solo, diviene anche funzionale al messaggio: i due discepoli si sono fidati dello sconosciuto fino a farlo entrare nel loro spazio intimo e adesso sperimentano la sua verità.

È la storia di un Dio vicino, così vicino da poterlo vedere e toccare, ma così vicino che c’è anche il rischio di ignorarlo e di non riconoscerlo, come sta facendo l’oste, confuso e ignaro dell’importanza della situazione.

All’interno del dipinto ci sono infatti due visioni opposte: quella dell’oste che non vede la verità e che guarda in modo distaccato e quella dei discepoli che guardano oltre e vedono il verbo incarnato.

La cesta tridimensionale che pende pericolosamente sul bordo del tavolo contiene diversi frutti, dipinti con le loro imperfezioni: uva, una pera, un fico, un melograno, una mela bacata simbolo della caducità della vita.

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Sotto la cesta, l’ombra a forma di coda di pesce non è casuale ma rimanda a Gesù. La parola greca “pesce” è il tradizionale acronimo paleocristiano: Gesù Cristo figlio di Dio Salvatore. Il punto focale è proprio nella cesta e nella sua ombra misteriosa.

Il gesto di stupore del discepolo sulla destra che ci dà l’idea dello spazio e ricorda la posa di Gesù sulla croce: chi accetta Gesù veramente è pronto a mettersi in discussione. Il pane spezzato sulla mensa indica il sacrificio della croce: il dono di sé di Gesù che raggiunge tutta l’umanità nel tempo.

Colui che prende, benedice, spezza e dona è Colui che, dall’inizio del tempo, desidera entrare in comunione con noi. È il grido profondo del cuore di Dio e del nostro, poiché siamo stati creati con un cuore che può essere soddisfatto soltanto da chi lo ha creato: «Ci hai fatti per Te, Signore, e il nostro cuore non ha pace finché non riposa in Te».

Alessio Fucile

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