CIà’ CHE RENDE LA VITA VERAMENTE DEGNA DI ESSERE VISSUTA

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In tempi di paura pandemica, si vive dando valore all’essenziale, si apprezzano abitudini perdute. Cogliamo verità nascoste, riflettiamo su modi vivendi generalizzati, su certi argomenti annebbiati di norma dalla nostra frenetica esistenza tecno-velocizzata, tenendoci lontani dalla folla di persone, dai pensieri quotidianamente comuni. Idealmente ci comportiamo come le sette giovinette e i tre giovani decameroniani che, durante la peste del 1348, si ritirano in una villa a Firenze per sottrarsi al contagio, raccontando novelle che inducono a comprendere il senso della vita. La vita è il bene sommo, assoluto. La salute è il diritto primario dell’uomo. La sua nobile tutela dovrebbe essere “dovere morale” prioritario su tutto, ponendosi in essere adeguatamente tutti mezzi realizzativi di ciò, specie da parte di chi è preposto a tale "officium".

La cura della salute, nella forma antica del latino coera, esprime legame di amore, amicizia, quindi premura, vigilanza, preoccupazione. Essa non dovrebbe mai venir meno, essere deficitaria, disattenta, ritardataria, superficiale, disattesa per inadeguatezza, incompetenza, interferenze, burocrazia, interessi di alcun tipo, come purtroppo accade da sempre un po’ dappertutto. Tutto rientra in un’ottica di valori che la nostra società ha smarrito, nella frenetica corsa al potere, consacrata alla spartizione egoistica dei pani , all’economicità fine a se stessa, all’aziendalizzazione di ciò che è immateriale e non gestibile a scopo del profitto, alla “immeritocrazia”, alla prostrazione al Dio Denaro che corrompe e corrode i beni umani e sociali ma non intacca le coscienze, nefastamente qualora riguardi coloro che, avendo affidate alle proprie mani la qualità e la salute dell’esistenza delle persone , sull’altare di tale deus sono disposti al sacrificio altrui. Oggi il mondo merita un grave monito, per un agire spesso fallimentare, per interesse, incompetenza, frettolosità. L’uomo ha voluto snaturarsi ed è esploso come la rana della favola di Esopo che voleva diventare grande quanto il bue. Ora, difronte alla piccolezza del presunto potere umano, riflettiamo! Torniamo alla misura d’uomo, ai valori! Bandiamo il senso di superiorità, distrutto in un baleno, profumato solo dalla pietosa ginestra, su un suolo umano, diventato brullo su cui incede l’arido passo dell’Homo impotente! Bandiamo pure l’ignavia, non degna per Dante neanche della punizione all’Inferno! Bandiamo il rassegnato verghiano determinismo fatalistico e il gattopardesco cambiare le cose per non cambiare nulla. Bandiamo il silenzio complicità, ricorriamo alla facoltà della nostra madrepatria del democratico parlare nell’agorà, per denunciare ciò che non va e pretendere ciò che ci spetta! Siamo in una crisi epocale. Riflettiamo sull’etimologia greca del termine crisi, ci soccorre la natura, il campo agricolo, essa indica la separazione della granella del frumento dalla pula, separazione, scelta, cernita, dunque cernere, discernere, valutare per migliorare. Approfittiamo della crisi per migliorare, cambiando! Non pretendiamo che le cose cambino se continuiamo a farle nello stesso modo.

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La crisi può essere una vera benedizione per ogni persona e per ogni nazione, perché è proprio la crisi a portare progresso. La creatività nasce dall’angoscia, come il giorno dalla notte oscura. È nella crisi che nascono l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso... La vera crisi è l’incompetenza…Il più grande difetto la pigrizia” (Albert Einstein, 1955).

È giunta l’ora di smontare alla maniera umoristica pirandelliana i meccanismi che, secondo l’antica retorica, l’arte del bel parlare e del bello scrivere, presentano tutto armonioso, all’esterno, attraverso artifici che alterano la naturalità, componendo, mettendo in ordine, creando una patina di esteriore bellezza, per persuadere, per attirare a sé, convincere altri della bontà sedicente del proprio operato o modus operandi.
C’è invece come una sapiente orchestrazione che si muove, ma non si conosce perché invisibile, all’interno di qualcosa esternamente visibile, perfetto da perficio, perfectum, portato a compimento, finito, secondo quindi modelli artificiali. Bisognerebbe giungere all’ordito che sta dietro la patina superficiale, artificiale finta...
Scopriremmo la realtà di un congegno complesso forzato, inadeguato, immorale, fazioso, corrotto, ma a fianco troveremmo anche quello naturale che batte secondo il ritmo del cuore, con i tocchi dell’ingegno, con i battiti dell’animus, un meccanismo istintivo impregnato di tormento, altruismo, sudore, fatica, incertezza, dubbi, logorii...Scomporre i congegni e i meccanismi è andare oltre la propria lente ingannevole che distorce, inganna, immergersi nell’autenticità e com-patire, da pathos e cum, provare insieme lo stesso sentire, verghianamente calarsi per capire chi siano gli eroi veri come quelli attuali, autentici e prodighi di umile abnegazione nella grande generosità e dignità della loro vita.

Cambiamo il corso della storia, rimettendo al centro il valore della vita, la misura, la saggezza, la naturale ciclicità, la bellezza degli anziani, la preziosità del tempo, i sentimenti, il godimento della gioia condivisa.
Ricordando il latino Lucrezio non possiamo non ritenere misere le menti e ciechi gli animi degli uomini nel non evitare di trascorrere la breve vita tra affanni e pericoli. La natura ci chiede che il corpo sia esente dal dolore, l’anima gioisca di piaceri naturali... le febbri ardenti non si dileguano tra drappi di porpora... a nulla a tal fine servono le ricchezze... dell’egoismo e della vacuità.

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Per vivere bene, scalziamo dal trono la mera economicità del profitto, globalizzata, carceriera, logorante, asservente e l’asservita politica, se da nobile ars al servizio della gente, si mostra dimentica del valore della persona umana! "Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero
perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni…

Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità, della loro educazione o della
gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei
valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere o l’onestà…

Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra
conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta
" (Robert Kennedy, 1968).

Cettina Bongiovanni

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