CINA

Il piccolo cimitero di mummie sul fiume.

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Lontano centinaia di chilometri da qualsiasi insediamento umano, sperduto tra le dune del deserto di Taklamankan, definito a ragione anche “Il Mare della morte” è stato fatto un ritrovamento eccezionale. Non si tratta di un’oasi, tutt’altro. Parliamo di antichissime sepolture segnalate da scheletrici pali conficcati nel terreno e levigati nel corso dei millenni dai forti venti della regione.

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Il Piccolo Cimitero sul Fiume ha conservato per 4000 anni il segreto di una popolazione della quale non sappiamo nulla, misteriosa e affascinante come il deserto che l’ha gelosamente nascosta tra le sabbie del tempo. Intorno al 1910, un certo Ordek, cacciatore locale decise di addentrarsi nel deserto, scoprendo così il boschetto di pali di legno. Egli notò anche ossa umane e dei manufatti che gli apparvero sacri, dunque pensò di essersi avvicinato ad un luogo “infestato”, dal quale era meglio stare lontani. Decise che non si sarebbe mai più avvicinato a quel cimitero, e non lo fece nemmeno quando, nel 1934, l’esploratore e archeologo svedese Folke Bergman gli chiese di fargli da guida. Bergman in realtà cercava antiche rovine sulla leggendaria Via della Seta, e qualcuno gli suggerì di parlare con Ördek. Il cacciatore si rifiutò ma gli diede alcune informazioni utili per arrivare al cimitero e, seppur in mezzo al nulla Bergman riuscì a trovarlo e lo chiamò in suo onore Necropoli di Ördek. L’archeologo si dedicò agli scavi e da circa una dozzina di sepolture portò con sé, in Svezia, qualcosa come 200 manufatti. Lo stesso Bergman ci racconta dello stupore legato al ritrovamento di tombe a lui familiari, l’intero sito era disseminato di monumenti in legno a forma di remo.

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L’entità della scoperta non fu capita a quei tempi, infatti l’antica necropoli fu praticamente dimenticata fino al 2002. Solo grazie all’interesse di un gruppo di archeologi cinesi del Xinjiang Cultural Relics and Archeology Institute che decise di approfondire lo studio di quel luogo indicato da Bergman permise l’inizio di nuovi scavi nel 2003. In seguito ai quali sono venute alla luce 167 sepolture, ma nei diversi strati del terreno ce sono diverse centinaia, di dimensioni più piccole. Inoltre sono state rinvenute maschere lignee, archi e frecce nelle sepolture maschili e sculture che rappresentavano gli organi genitali sia maschili sia femminili, oppure piccoli animali. Uno dei dati più interessanti è stato però fornito dalle analisi genetiche eseguite sulle mummie che hanno confermato la provenienza di geni materni da popolazioni sia occidentali sia orientali, mentre quelli paterni risultano esclusivamente occidentali. A quanto pare, le popolazioni europee e quelle provenienti da Asia centrale e Siberia si sono incrociate prima di entrare nel bacino del Tarim, all’incirca 4000 anni fa. Nessuno però viveva nelle vicinanze della necropoli, che era probabilmente raggiunta in barca, quando ancora alcuni fiumi scendevano dalle montagne circostanti e attraversavano il deserto.

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“La bellezza di Xiaohe”

Tratti europei, peraltro già evidenti sulle stesse mummie, vale la pena ricordare una delle mummie meglio conservate, tanto da essere definita “la bella di Xiaohe”, per via delle folte ciglia che ombreggiavano lo sguardo di una donna che da viva doveva essere di una bellezza straordinaria.

Francesca Coppola

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